venerdì 8 aprile 2011

La disconnessione del telefono

Il titolo del post, per i lettori non camilleriani (ovvero, chiunque tranne la Ba), è un omaggio al più divertente dei romanzi del Nostro (giudizio brutalmente personale): La Concessione del Telefono. Consiglio caldamente la lettura.

Riflettevo su quanto sia cambiato il mio rapporto con il telefono in questi anni.
Ho avuto il mio primo cellulare nel 1999, quando ho cominciato a lavorare per la SIC. Era normale per me iniziare la giornata salendo in auto e telefonando agli amici già nel percorso verso l'ufficio: vista l'ora, se non erano la Donamat o Max, potevano essere colleghi che sapevo già in viaggio a loro volta. Dalle 9,00 in avanti, via con le chiamate di lavoro vere e proprie. Quasi ininterrottamente, certi giorni. Poi alla sera, nel tragitto verso casa, via con un altro giro di amici o colleghi che avevano finito la giornata di lavoro. Se viaggiavo di sera verso Genova o Trieste o Ravenna, c'era sempre qualcuno che mi teneva compagnia (o che mi teneva sveglia) - e ovviamente io mi impegnavo a ricambiare la cortesia.

Da quando sono venuta a vivere in Olanda, tutto questo è cambiato. Il telefono è stato una parte importante del mio modo di lavorare, nell'anno e mezzo in cui sono stata in Oracle, ma solo perchè i colleghi di progetto e i managers della mia business unit erano tutti "remoti", in più di un senso. Ricordo ancora benissimo certe imbarazzanti conference calls con il cliente e il mio team, in cui regolarmente qualcuno dei mezzi geni del MIT che lavoravano per me diceva qualche cosa di devastante: mezzi geni finchè vuoi, ma come senso del cliente stavano davvero a zero.

Molte frequentazioni telefoniche molto intense si sono ridotte pressocchè al nulla. Le telefonate verso l'Olanda costano? ma quasi tutti i miei interlocutori avevano cellulari aziendali, il costo non era necessariamente la motivazione. Forse, visto che non ero io più così assidua come in passato, loro si sentivano autorizzati a non chiamare proprio per niente?
Arrivato poi Facebook o Skype, è iniziata l'epoca dei contatti non solo a costo zero, ma per giunta a tempo zero: mentre si fa altro o mentre si "parla" con mille altri, allora ci sta una domanducola su come sto o su cosa faccio. E adesso mi sono proprio stufata anche di questo.
Siamo fatti di tempo: quanto di noi dedichiamo in esclusiva a qualcuno, lo misuriamo in minuti, ore o giorni - e sottolineo in esclusiva: parlando proprio a quella persona, dedicando qualche euro per telefonare proprio a quella persona, sacrificando qualcosa d'altro per avere una conversazione proprio con quella persona. Tutto il resto è rumore di fondo.

Tutti i giorni telefono a mia madre. Due minuti, per dirle che sì, sto bene, sì, non ho freddo, sì, ho mangiato. Se la mamma avesse qualche problema, lo saprei istantaneamente dai miei fratelli. La telefonata è per lei, per farla stare serena. Almeno, io dico che sia per lei. Ma in realtà, anche se il contenuto informativo rasenta lo zero, quelle telefonate sono una delle poche prove della mia esistenza in vita. Ho un testimone, qualcuno che assiste con continuità alla mia vita. Dunque, esisto. Di questi tempi, non è poco.

1 commento:

LadyJack ha detto...

Dici che sono davvero l'unica camilleriana in circolazione?! Eppure mi pareva che gli adepti fossero di più...
Il telefono, sai già cosa ne penso: quindi mi asterrò dall'aggiungere qui espressioni poco carine e gentili.
Il telefono è invenzione diabolica per eccellenza. Se ce l'hai, meglio che lo dimentichi: precetto che personalemnte metto in pratica con grande costanza...