mercoledì 28 aprile 2010

Passare al digitale

Ultimamente mi trovo a fare dei bilanci. Non sono più giovane, ho passato parecchie soglie – momenti in cui ti rendi conto che certe scelte sono irreversibili: che so, come diventare madre o diventare miliardaria. Quando ero giovane dicevo che il mio ideale era Marisa Bellisario: diventare amministratore delegato e poi morire. Non sono diventata amministratore delegato e anche sul morire ho capito che ho poche opzioni sul fatto di farlo quando voglio io. Non essendo depressa, non essendo suicidale e non essendo il grande Maestro Bhima del Mahabharata, non potrò scegliere il momento della mia morte e quindi devo cercare le mie piccole strategie per la parte di vita che invece ho ancora davanti, lunga o breve che sia.
Oggi ho creduto di avere una illuminazione in merito. Da giovane, il mondo era un fluire, un continuo crescere e imparare. Una lunga continua ascesa, da scuola a scuola e poi da lavoro a lavoro, ogni volta guadagnando posizioni in una ipotetica scalata. Ma poi arriva un momento in cui ti rendi conto che non c’è un percorso da seguire, non un’armoniosa scivolata attraverso gli anni. Esistono piuttosto momenti di grandi angoscia e momenti di sollievo e in realtà il tessuto stesso della realtà non ha affatto la continuità rassicurante che credevo di riconoscere nei primi anni. Già il momento della mia nascita alla vita conscia è stato un salto improvviso, come svegliarsi all’improvviso in un nuovo mondo (ricordo bene la data, 1° agosto 1976). Adesso so che il cervello degli adolescenti passa attraverso trasformazioni drammatiche – e sicuramente in una qualche parte del mio cerebro quel giorno deve essere spuntata una nuova protuberanza, come uno dei funghi di Marcovaldo, e voilà, una nuova Donatella è nata. Poi ci sono le delusioni riguardo agli esseri umani – come delle fratture improvvise. O la realizzazione della propria mortalità, come un voce che chiaramente ti parla e ti apre gli occhi.
Quindi ho cominciato a pensare che il modello giusto per gli esseri umani non è quello analogico, del flusso modulato di eventi, bensì quello digitale, del alternanza netta di bianco e nero. Di conseguenza, così come ci sono momenti che definiscono le discontinuità e spesso i traumi, bisognerebbe imparare a separare in particelle anche il bello che ci sta intorno. Che so, il bel sole alla fermata dell’autobus, vale un bit. Le facce contente dei miei studenti oggi al Campionato, un intero byte. Le battute migliori di Bridget Jones, che ho rivisto stasera: svariati bytes. E così via. Rifiutando la continuità analogica, che ci porta sulle montagne russe e ci sottopone a stress più grandi perché pasciuti dal senso di anticipazione, ci focalizziamo su parcelle di eventi piccoli a piacere, ma belli, rassicuranti, enucleati, ma indubitabilmente positivi. Passiamo al digitale. Zero e uno. E magari il conteggio degli uno potrebbe essere per una volta a nostro favore

lunedì 19 aprile 2010

Job warming party




Per festeggiare il nuovo lavoro, cosa c'è di meglio di una bella festa? ho invitato tutti i partecipanti della spedizione olandese a Debrecen: la squadra maschile, quella femminile, i junior, gli accompagnatori e i partner privi di intolleranze al kendo. Per fortuna il tempo era bellissimo, e comunque non avevo abbastanza sedie o abbastanza piatti o abbstanza di tutto! ma ce la siamo cavata (con torte patatine due tarte tatin...) e con il gelato di Roberto Lekkerijs (inclusi gli innovativi gusti: Pepe & Fragole, Aringa, Marijuana Biologica) abbiamo concluso in bellezza. E naturalmente c'era anche il famoso telo mare che Arcadis ha regalato a tutti i membri della squadra!
Che bel pomeriggio!

domenica 18 aprile 2010

giovedì 15 aprile 2010

Essere normali

Non so a quanti capiti di oscillare, come me, fra il desiderio di essere normali e il bisogno di essere estranei. Per essere estranei intendo quello stato di infinite potenzialita’ che ti offre un nuovo inizio, come cambiare citta’ o lavoro o nazione. Si passa una spugna su tutto quello che non si vuole essere o non si vuole avere, ci si ritrova incastonati in un mondo diverso – non per questo ostile, anzi. In questo senso, l’ estraneita’ e’ un modo di revisionare se’ stessi, di riorganizzare le proprie emozioni, di rivedere le proprie strategie di vita. Non appartenendo, si puo’ decidere a cosa appartenere. Ripetendo il processo piu’ volte forse si riesce a capire veramente chi si e’ – come se un attore, attraverso l’ interpretazione di ruoli diversi, potesse intuire i tratti della propria personalita’ e fare dell’ íntrospezione pur mettendo tutto se’ stesso su un nuovo palcoscenico.
Si’ , essere estranea mi piace. I nuovi inizi sono eccitanti. E vedere come ogni volta affronto la sfida di un nuovo mondo mi pare un esercizio interessante.
Comunque sia, la normalita’ esercita una fascinazione enorme. In questi giorni in cui la vita cosiddetta normale mi sta riabbracciando, ho dei momenti di pura delizia, ben oltre la normale contentezza che deriva da una giornata ben spesa. Dopo mesi di disoccupazione (che peraltro non mi sono pesati come immaginavo), sono tornata a fare parte del mondo produttivo. Cammino fra la gente in stazione, aspetto il mio treno, degusto le mie nuove abitudini come se fossero prelibatezze rare. Ho un ufficio al quattordicesimo piano(non granche’ per ora, sara’ meglio ad Amsterdam da settembre) e colleghi amichevoli. La lista dei compleanni e’ pubblicata nell’ angolo del caffe’ e per tutti c’ e’ una celebrazione. Esseri umani, di nuovo! Dopo il lavoro remoto, dopo le spiacevoli subumanita’ degli ultimi tempi in Italia, ho di nuovo dei colleghi! Appartengo! La mia azienda costruisce cose meravigliose – persino quelle che sono andata a visitare per pura ammirazione: ingegneria poetica o poesia ingegneristica.
E il lavoro riverbera la sua calda luce anche sulla mia vita privata. Continuero’ a lavorare in giardino, continuero’ a comprare i fiori al mercato del sabato, continuero’ a fare la spesa in bici – ma lo faro’ non piu’da estranea, ma da persona normale. Un piacere sottile, ma squisito. Per ora.