domenica 18 dicembre 2011

Il Natale si avvicina...

...ma davvero di soppiatto, tanto è vero che a malapena me ne accorgo. Non bastano il CD natalizio, le due (2) palline appese ai cassetti del mobiletto della zia e i vari knicks knacks da assemblare in strenne. Non mi sento proprio nello spirito festivo. Fuori snevischia, nemmeno un tentativo serio di neve (stamattina c'era il sole)... ci sarebbero i rami da sgomberare dal giardino, ma figuriamoci se mi metto a farlo ora!
So solo che ho voglia di tornare a Bologna, di staccare davvero per un po', per dichiarare ufficialmente chiuso il 2011. Voglio stare stare un po' con la mamma, con la famiglia, con gli amici. Chissà come mai, non riesco mai a concedermi di essere stanca - mi sembra sempre di fare molto meno di quello per cui avrei energia sufficiente, ma in realtà questa fine di anno è stata pesantuccia emotivamente. Avrei bisogno di qualcosa di bello e luminoso, che non abbia ombre, per ricaricarmi un po', ma, ahimè, per ora non sembra esserci granchè che si qualifichi... Per fortuna, dosi massicce di tortellini sono sempre la mia migliore cura palliativa.

lunedì 12 dicembre 2011

Denver

The Brown Palace

Elway's in the Ritz Carlton


The Capitol of Colorado

Il DAM di Giò Ponti

Il DAM di Libeskind

La galleria Olivetti
Finalmente, alla mia terza visita, sono riuscita a vedere il centro di Denver. Beh, diciamo che non è che valga il viaggio, ma ha qualche pregio: ad esempio il Denver Art Museum (segnalatomi da Michele) - a parte i due edifici, disegnati rispettivamente da Giò Ponti e da Daniel Libeskind, le collezioni sono molto belle: i dipinti (un po' romanticoni) degli artisti innamorati del mito del Selvaggio West, ma anche la collezione orientale, con bellissimi accostamenti fra le rappresentazioni di GuanYin, Avalokiteshvara e Kannon... Da ricordare l'angoletto di omaggio al design della Olivetti...
Dopo una settimana di galera ad Highlands Ranch, mi ha fatto proprio piacere che il mio capo proponesse di trasferirci in un hotel, il Brown Palace, nella downtown. Venerdì sera, dopo l'ultima giornata di battaglia in ufficio, a pranzo saltato, ci siamo trattati bene cenando da Elway's, steakhouse molto trendy di proprietà dell'omonimo quarteback dei Broncos. La carne era davvero stupenda, l'ambiente, molto ganzo, il livello dei decibel, spaventoso.
Al sabato mattina, colazione veloce, prima che iniziasse in hotel (uno degli hotel storici d'America) Breakfast with Santa, attrazione natalizia per grandi e piccini (penso a prezzi tutt'altro che popolari, visto quanto ho pagato per un paio di crepes...) - quando già la densità di dipendenti e fiancheggiatori vestiti in rosso e bianco era pericolosamente alta, sono uscita per la mia passeggiata.
Non tanta gente in giro di sabato mattina: il luogo degli acquisti nella downtown è un tristanzuolo 16th Street Mall, che pullula di negozi di souvenir. Per gli acquisti di taglio un po' più Europeo, bisogna andare in taxi a Cherry Creek, non esattamente a quattro passi. Ho potuto ammirare il "Campidoglio" del Colorado, la City Hall e uno sparuto gruppo di indignati di Occupy, sorvegliati a distanza da un gruppo quasi altrettanto numeroso di poliziotti in bicicletta. La temperatura era fortunatamente risalita, il cielo era di un azzurro stupendo, le Montagne Rocciose emergevano coperte di neve in distanza... una bella giornata, dopo una settimana di grande tensione.
Tornare a casa, mai stato così bello.

venerdì 9 dicembre 2011

Squartamento

Chissa’ come mai, ma a volte mi vengono acuti attacchi di riflessivita’ che mi sprofondano in elucubrazioni anche piu’ involute e melmose del solito. Niente di triste, questa volta, ma sicuramente alcuni leitmotiv cominciano ad emergere dalla visione della mia vita finora, che comincia ad essere gia’ piuttosto lunga – lo dico senza patemi, tipo: oddio sto invecchiando, la pelle del collo non e’ piu’ quella di una volta, etc.
Ho sempre detto che negli eventi ci sono schemi piu’ o meno ripetitivi che mi balzano agli occhi con una tale evidenza, da farmi pensare di soffrire di qualche disturbino alla John Nash. Non mi riempo la casa di ritagli di giornale, non vedo Men in Black dappertutto, ma sicuramente individuo meccanismi che collegano situazioni apparentemente slegate.
Prendiamo il mio caso, la mia vita: lo schema ripetitivo si chiama Squartamento.

  • Ho lavorato quasi tutta la mia vita in ambienti Corporate – ma se c’e’ un modello in cui non mi riconosco e che mi ripugna, ho scoperto, e’ proprio quello della Corporation.
  • Ho passato la maggior parte della vita con il lavoro e la carriera come guida e mi accorgo adesso che non me ne frega proprio niente sia dell'uno, sia dell'altra.
  • Non ho mai sopportato la Sinistra, ma la Destra mi disgusta al punto tale, che preferisco farmi dare della sinistrorsa (bleah).
  • Adoro viaggiare, vedere posti nuovi e prendere aerei, ma sento una nostalgia bruciante di ogni luogo in cui ho vissuto (Bologna, Ravenna, Legnano, Ruesselsheim, Utrecht)
  • Mi piace sentirmi estranea, ma mi fa piacere se la cameriera in hotel si ricorda di come voglio il caffe’ e provo gusto a ritornare nei luoghi e ricordare la strada.
  • Tutta la mia vita infantile (e probabilmente un bel pezzo di quella da adolescente) e’ stata basata sulla frustrazione di non potere seguire la carriera militare, ma posso tranquillamente dire di nutrire una totale indifferenza (disprezzo?) verso la gerarchia.
  • Ho idee precise sul tipo di relazione/partner che vorrei, ma ho continui battibecchi con me stessa perche’ mi inchiodo sempre su lampanti esempi di negazione del modello.
  • L’idea di essere intrappolata in un matrimonio mi fa genuinamente orrore, ma darei un braccio perche’ qualcuno mi guardasse dritto negli occhi e mi dicesse “Voglio proprio te”.
  • Sono sempre proiettata verso il futuro, il domani sempre meglio dell'oggi, ma ho un culto quasi religioso del passato. La memoria troppo buona e' una zavorra insopportabile, a volte.
E via cosi’, allegramente strattonata in direzioni opposte, al limite della tortura – e talvolta, ben oltre il limite medesimo.
Quanta energia costi il bilanciare tutte queste spinte contrastanti, lo lascio immaginare. A volte mi rendo conto di aspettare che un lato finalmente prevalga e che lo strazio di tener duro finisca.

L’unico aspetto della mia vita che di contrastato non ha nulla, e’ il Kendo. Piu’ di una volta mi sono detta: Voglio vivere esattamente come faccio Kendo – e in realta’ ci provo seriamente. Quello che mi manca ancora pero’ e’ la percezione emotiva delle cose, il kimochi del Kendo. Se potessi sentire la vita come sento il Kendo, ci sarebbe ancora spazio per la fede, per l’ottimismo, per il progresso continuo, per l’amicizia distaccata e sincera, per il gusto di dare illimitatamente, con la certezza che non il singolo, ma l’intero insieme sara’ beneficiato e riconoscente. La visione sarebbe chiara, limpida e, mi vengono i brividi a dirlo, gioiosa. Non c’e’ da stupirsi se continuo a fare Kendo da 27 anni. Grazie al Kendo, conto di riuscire a “riunificarmi”, ben prima di andare in mille pezzi, come fa tanta gente della mia eta’, esplodendo con, o senza, il botto.

Le gioe del digiuno

Qualche mese fa, ricordo di aver avuto una conversazione (in un luogo abbastanza incongruo, in un'auto parcheggiata davanti alla stazione di Bologna) riguardo agli Stati Uniti. Diciamo che le posizioni non potevano essere piu' lontane: il mio interlocutore si diceva affascinato o perlomeno interessato alla cultura americana, alla sua grande capacita' di osare, di credere, di realizzare. Io negavo addirittura che di cultura si trattasse. Un canovaccio abbozzato di pratiche raccogliticce, di ipersemplificazioni enfatiche, di superficialita' cosparse di porporina: ecco la "s-cultura" americana per me. L'arrivo della persona che stavamo aspettando interruppe le nostre considerazioni, ma certamente non saremmo riusciti a trovare un punto di accordo su questo specifico argomento (nemmeno su altri, probabilmente, ma quella e' un'altra storia).
Standomene qui nel nulla pneumatico di Highlands Ranch, gli Stati Uniti continuano ad manifestarsi come la Terra dei Nessuno. Gli atteggiamenti da cowboy di certi managers di qui, o l'orrido taglio della giacca della (simpatica) collega Legal, o l'odiosa ostentazione di familiarita' del personale dell'hotel - mi fanno raccapricciare. E poi, su tutto, l'Immondo Estremo: il cosiddetto cibo americano. Voglio tornare a casa, davvero.
Non parliamo delle quantita' da camallo che componevano le insalate o i sandwich che la segretaria (dal sorriso sintetico) ci procacciava all'ora di pranzo. Non cito nemmeno i bidoni di insapore Diet Coke, talmente foderati di ghiaccio da fare affondare il Titanic. Stendo un velo pietoso sulle Buffalo Wings di due sere fa, che mi hanno fatto gonfiare le labbra che nemmeno Alba Parietti...
Ieri sera, cena nel miglior ristorante della zona, Indulge. Carino, niente da dire. Cibo, piu' che decente. Ospiti di un collega un po' agee', un gentiluomo del Sud, ci siamo lanciati sul menu' da quattro portate, con accompagnamento di vino al calice per ogni piatto.
Si inizia con un bisque. Delizioso. Arriva il vino: un Pinot Grigio AMABILE. Spaventoso. Ok, arriva il secondo, un'insalata, io salto, ma mi arriva lo stesso un bicchiere di bianco che si potrebbe tagliare con una motosega - per Bacco, che gli hanno fatto mai? un vino puo' essere un OGM? o un figlio di Frankenstein?
Arrivano le mie cappesante, adagiate su un fondo di cous cous profumato di arancio. Succulente e squisite. Cosa mi ci portano insieme? un Cabernet Sauvignon duro come il carbonio, cosi', senza nemmeno un moto di vergogna!
Chiudiamo con il dessert: una torta al cioccolato a cinque strati da far ingolosire persino Nigella Lawson, porzione sufficiente per quattro persone. Che ci accompagnano? un Brachettino sbiavdo e tristanzuolo. Indulge e' si definisce un tapas bar, ma esibisce con orgoglio la propria riserva di vini come pièce de résistance - avrei voluto piangere.
A parziale consolazione, la collega Legal di oggi mi ha portato a pranzo (in realta' la segretaria dal sorriso polimerizzato mi aveva gia' portato una zuppina a base formaggio che avrebbe fatto la felicita' di qualunque tappezziere). Visto che lo stomaco era gia' impermeabilizzato al silicone grazie alla zuppina, ho preso solo un dessert: una specie di Ringo palestrato al sapore di zucca. Lo chiamano Whoopie Pie. Non era male. Quando ho raccontato a Doran della cena della sera prima, mi ha servito un succulento pezzo di gossip locale: pare che Indulge sia un notorio swingers' club. Wow, non male per essere nel mezzo del niente, Highlands Ranch si qualifica vicino a Sodoma e Gomorra, nel ranking americano.
Fatte le dovute considerazioni sul mio ranking personale, sono contenta che stasera si stia in hotel. E che si digiuni. Con gusto.

giovedì 8 dicembre 2011

La sindrome di Lady Hawke

E cosi' io mi sveglio e gia' la giornata e' passata, si e' gia' oltre l'ora di pranzo - in un batterdocchio sono le sette di sera e ormai tutti sono andati a casa. Arrivo in hotel ed e' notte fonda. Quando torno dal ristorante, probabilmente tutti sono gia' in strada per andare a lavorare.
Otto ore di fuso di differenza sono un vero incubo - i ritmi fra America e Europa sono sfasati in un modo cosi' perverso che la distanza sembra ancora piu' grande. Niente di tutto cio' in Brasile o in Cile, che continuano a rimanermi piu' simpatici di questo paese a stelle e strisce, che davvero esercita su di me lo stesso fascino di un tupperware.
E cosi mi dibatto nella sindrome di Lady Hawke, condannata a essere me stessa quando quel bel fustacchione di Navarre diventa lupo, ed essere falco quando lui riprende forma umana. Ora, bei fustacchioni intorno non ce ne sono tanti, ma almeno quella compagnia che posso farmi i miei amichetti di Facebook, quella si' che viene a mancare di schianto!

In ufficio, Facebook non funziona. Per fortuna che c'e' Skype, per un saluto veloce alla Livia, per i mille messaggi di Dina o per le chiacchiere con Paolino (che a volte fa il furbo) - ma la finestra fra la notte e il giorno e' limitata e piu' in la' di un rapido scambio non si puo' andare.

Quindi in questi giorni in cui avrei bisogno di vigorose coccole almeno virtuali, ho intorno solo il mio capo (un altro tupperware) che perlomeno, va detto, ha cambiato drasticamente atteggiamento nei miei confronti - sembra quasi che il colloquio fatto con lui abbia avuto un esito positivo. Quanto durera', non lo so, ma adesso ho una chiave di lettura e so come raddrizzare la situazione, se dovesse riprendere una brutta piega.

Domani, ultimo giorno completo di lavoro: venerdi' abbiamo la riunione di wrap up e poi a mezzogiorno siamo liberi. Sabato, shopping. Domenica alle 14, Schiphol. Mi frego il fine settimana, ma e'  meglio che fregarsi tutta la settimana dopo!

martedì 6 dicembre 2011

Sia dannato Farenheit (con un'acca sola, per sfregio!)

 



Cinque minuti secchi di strada fra hotel e ufficio; una passeggiatina da niente, ma che lascia a bocca aperta la segretaria americana, che cinguetta "Oh, siete cosi' Europei!", solo perche' ci rifiutiamo di prendere un taxi o noleggiare un'auto per questo micropezzetto di strada.
Io sapevo che le temperature sarebbero arrivate verso i meno 20 centigradi (che sarebbero i meno 6 Farenheit), quindi non temo niente: scarponi da lumberjack, piumone con cappuccio, sciarpa, guanti. Certo il ghiaccione non mette voglia di correre, ma almeno non dover dipendere dal taxi e' una bella cosa.
Che si fa dopo una giornata noiosa in ufficio (doveva scoppiare la terza guerra mondiale, ma non essendoci il cane piu' grosso in circolazione, tutto si e' accomodato nella calma piatta)? sapendo che con buona probabilita'  ce ne torneremo una settimana prima, mica mi lamento, se si tratta di cenare in camera. Usciremo domani sera, con un paio di colleghi (se il loro managers li autorizzano a parlare con noi, sic!) - in qualche ristorante piu' o meno insignificante della zona. E stasera, cosa scelgo dal menu'? Fettuccine Alfredo? Chicken wings con tre tipi diversi di salsa? Roba chicana? Veramente la scelta mi fa scappare la fame, vediamo se davvero mi convinco a ordinare qualcosa.
E' una buona occasione per studiare - in televisione, football americano. E' lunedi'...

lunedì 5 dicembre 2011

In volo verso Denver


Uno dei lati piu’ piacevoli della business class British Airways e’ la buffa disposizione dei sedili. Se si conquista al check in un posto vicino al finestrino, si ha la possibilita’ di creare il proprio angolino privato. Manca uno specchio o un gancio per la giacca o un piccolo ripiano per mettere gli occhiali al sicuro mentre si dorme, ma per il resto uno schermo ti separa dal vicino e almeno tre finestrini offrono luce in abbondanza. Il poggia piedi e’ comodo, il comando dell’entertainment system e’ un agile touch screen, il cassettino per le scarpe e’ un plus. Ci si sistema con coperte e cuscini e via, il nido e’ fatto.
Sotto, un mare di ghiaccio e di neve. Ci hanno detto che la rotta sarebbe stata molto settentrionale, per evitare i venti sull’Atlantico: infatti l’Islanda e la Groenlandia sono sfilate sotto l’aereo. A Denver troveremo un freddo polare. OK, sono attrezzata, o almeno lo spero.

Mi sono vista Cowboys and Aliens (Daniel Craig e Harrison Ford completamente sprecati), un estratto da Golfing World, un episodio di Blackadder... ho cominciato a razionalizzare lo studio delle Sacre Regole, me le lavorero’ una per una, da The Game a Disputes and Decisions. Il manzo del pranzo era ottimo, accompagnato da un discreto Saint-Emilion, conto molto sulla colazione che arrivera’ fra poco.

Tutto bene finora. Peccato che le prossime giornate lavorative saranno tutto tranne che riposanti. Non siamo nemmeno certi riguardo a quando torneremo: potrebbero augurarci buon viaggio prima delle due settimane previste – e se questo accadesse, certo non avremmo una grande motivazione a rimanere del mezzo del nulla, dove ufficio e hotel si trovano. E’ una situazione a dir poco interessante: mi trovo tutto sommato in seconda linea in una bella guerra di potere, sono curiosa di vedere come si sviluppera’. Dubito possano esserci vittime permanenti, ma la mia posizione e’ comunque defilata e per una volta, questo mi sta bene.

Una cosa e’ certa: due settimane di pena, forse meno, non potranno cancellare il fatto che Natale e’ dietro l’angolo: me ne torno a Bologna, vedo amici e famiglia, e soprattutto chiudo quest’anno cosi’ complicato: iniziato in un alone trionfale, precipitato in delusione e rabbia, terminato in sottotono, per quanto con qualche piccolo acuto. Mi piace l’idea che con l’anno si chiuda formalmente un periodo (alla faccia della assoluta mancanza di significativita’ del calendario, con buona pace dei Maya) e che si possa tirare una riga. Per il 2012, ho piani precisi, ma anche desideri precisi. Non vedo l’ora.

sabato 3 dicembre 2011

Sinterklaas



Oggi bel sabato in giro per spese. Fleur mi è venuta a prendere, siamo andate insieme a Spakenburg, dove si trova lo showroom di uno degli installatori di finestre che mi ha fatto un preventivo. Ne ho visti 4, mi sono resa conto che la cosa costa e quindi adesso mi prendo il tempo per decidere a chi voglio far fare le mie quattro belle finestre del piano di sopra. Una mezza idea comincio ad averla, non sono sicura di voler pagare quasi 450 euro in più per fare una perfetta riproduzione delle finestre tradizionali, ci penserò intensamente e terrò gli occhi saldamente sul conto.
Comunque, dopo aver visto cosa in concreto significavano le diverse opzioni disponibili e aver bevuto il cappuccino con gli amaretti offerto dal signore delle finestre, Fleur ed io ci siamo avviate verso il centro di Spakenburg. Un grazioso villaggio di pescatori, che una volta fronteggiava il tempestoso Zuiderzee, ora se ne sta appollaiato sulla riva del largo canale che lo separa dalla provincia del Flevoland, l'isola che non c'era e che adesso c'è. Questa cosa della provincia artificiale, che non era nemmeno sui miei libri di scuola quando facevo le elementari, mi fa impazzire ogni volta: ho una ammirazione sconfinata per quello che gli Olandesi riescono a fare quando si mettono in testa qualcosa.
Abbiamo passeggiato per il mercato e abbiamo incontrato Sinterklaas accompagnato da un paio di Zwarte Piet. Stasera è Pakjesavond, ma io ho avuto un anticipo giovedì da Jennie e Monique e stasera me ne sto sola soletta a casa. Mi guarderò Alles is Liefde in televisione. In fondo ho portato a casa qualche pacchetto anche io: due paia di pantaloni (carucci, anche se in saldo) taglia 40 (quaranta) - le taglie olandesi sanno regalare delle emozioni... - e un bel router per avviare il wireless in casa, così elimino il cavo e inauguro una stagione di chat direttamente dal letto (visti gli orari che faccio di solito)... 
La valigia deve essere ancora chiusa, traboccante come è di abiti pesanti per affrontare i -17 C (meno diciassette centigradi) di Denver: ho deciso quali libri portare con me: la biografia di Judi Dench e le Regole del Golf rinnovate. Che poi io resca a leggere e a studiare, questo è un altro conto e dipenderà da quanto spirito serale mi resterà dopo le lunghe ore di ufficio con gli ostili colleghi americani.