martedì 25 febbraio 2014

Dignitari in naftalina

A casa di Fumi
Il 3 marzo è la Festa delle Bambine e tradizionalmente, nelle case in cui ci sia una figlia femmina, si espone una riproduzione della Corte Imperiale fatta di bambole e accessori in miniatura.
Io sono sempre stata innamorata di questi oggetti, in particolare della Augusta Coppia Imperiale, che siede in cima alla scalinata. Entrambi indossano abiti dell'epoca Heian, l'Imperatore tiene lo scettro e indossa il copricapo nero, l'Imperatrice porta i suoi dodici kimono sovrapposti e ha una complessa acconciatura.
Un livello sotto di loro siedono le Tre Dame di Corte, più sotto i Cinque Musici, più sotto il Ministro della Destra e il Ministro della Sinistra... una bambina di solito riceveva un componente della Corte ogni anno (questi oggetti sono stravagantemente costosi), per poi veder sparire l'intera messainscena fino all'anno successivo. Nei drugstore vendono la naftalina per le tarme della seta: sulla confezione, eloquentemente, ci sono l'Imperatore e l'Imperatrice.

Queste bambole si comprano solo in questo mese che precede la festa, poi letteralmente spariscono. Tante volte le ho cercate nei miei soggiorni giapponesi, ma senza successo. A maggio si trovano solo gli ammennicoli per la Festa dei Bambini: le maniche a vento a forma di carpa, l'elmo da samurai da esporre nelle case dove ci sia un figlio maschio. Delle nobili bambole del Giorno delle Bambine, nemmeno l'ombra.
Ora, sono a Kyoto proprio nel momento giusto. Lungo Nakadachiuri Dori, dove si trova l'ufficio, a pochissima distanza verso Senbon Dori, c'è un grande negozio che vende bambole per la festa. Cosa devo capire da tutto ciò? Il messaggio non è forse abbastanza chiaro?


domenica 16 febbraio 2014

Questione di naso

Oggi era una bella giornata di sole. Fortunati i maratoneti, che correvano oggi, visto che solo fino a un paio di giorni fa pioveva o nevicava.
Dopo essermi ben documentata, sulla Lonely Planet e sulla ottima Kyoto Visitor's Guide, sono partita a scoprire i negozi che vendono incenso.
Io ho scoperto i bastoncini quasi per caso, visto che ogni anno la gentile signora del Three Sisters Inn mi salutava con un cadeau, che finiva per essere o un piccolo borsellino o una confezione di incenso, cose molto kyotoite. Ora li utilizzo spesso e anche nella mia monostanza di Ichijo amo sentire la fragranza di un buon incenso.
Dal momento che nel Genji Monogatari si cita la famosa competizione fra le diverse preparazioni profumate che si tiene nella residenza di Genji, ho pensato che sapere qualcosa di più sui negozi che tradizionalmente commerciano in incensi (e lo fanno da svariati secoli) era un modo per risalire alla Heian-kyo dei miei studi, che mi ha sempre affascinato e che ancora cerco per le strade della Kyoto di oggi.
Quindi, cartina alla mano e dopo aver letto qualche informazione fresca su internet, sono partita alla volta di Yamada Matsu, di Shuyeido e di Lisn.
Il primo è un negozio quasi invisibile, in una stradina nemmeno tanto di passaggio, fra la Prefettura (dove vado a fare kendo) e il Palazzo Imperiale. Tutto sommato molto vicino a casa mia. Dalla strada, come al solito è difficile individuare cosa venda un negozio tradizionale. Questo lo si rintraccia a naso. Un negozio elegante, con l'offerta che ci si aspetta: sachet di tutte le dimensioni, bastoncini e portabastoncini - e interi set per l'incenso tradizionale, che non brucia da sé, ma va messo a contatto con un carboncino ardente. Questo era comunque il modo di Genji - e ci sono strumenti minuscoli sviluppati all'uopo, non diversamente da quelli per la cerimonia del tè. L'incenso si "ascolta", si dice in giapponese, c'è tutta una maniera di apprezzarlo che non si limita come di consueto ad apprezzarne solo il profumo. Approfondirò nel futuro prossimo.
Dal momento che i bastoncini me li sono portati dall'Olanda (perchè ne avevo tanti che avevo accumulato nei miei viaggi pregressi in Giappone), da Yamada Matsu ho comprato 4 minuscoli sachet, uno per ciascuna combinazione di abiti da kendo che ho qui, più l'armatura.
Da Shoyeido tanti acquirenti - giapponesi. Su una strada di maggior traffico, assortimento diverso, ma tutto apparentemente più "turistico". Prezzi più alti, oggetti sicuramente graziosi (come i ciondoli d'argento che in realtà raddoppiano come sostegni per i bastoncini), nessuna o poca traccia dell'incenso tradizionale. Riparto alla volta di Lisn.
Lisn è un negozio molto elegante e minimalista: la solerte commessa, che mi parla nel suo inglese, mi riempie di cataloghi di carta finissima. Sachet originali, una infinità di fragranze. In fondo questo Lisn si trova dentro a Cocon Karasuma, un department store molto smart. Appartiene allo stesso gruppo di Shoyeido, in un certo senso è la modernizzazione di un business che ha 300 anni. Sono diffidente (che cosa avrebbe detto la Dama Akashi di questo Lisn?) più perchè cerco ancora il mondo di Genji che per altro, ma finirò per tornarci prima o poi.

Già che vagabondavo, ho fatto anche un salto da Ippodo, dove si acquista e si beve tè. E' il posto giusto dove andare con la Donamat quando verrà a fine maggio, a provare il menu degustazione.

http://www.yamadamatsu.co.jp/en/

http://www.shoyeido.co.jp/english/

https://www2.lisn.co.jp/

http://www.ippodo-tea.co.jp/en/


sabato 15 febbraio 2014

Mondo piccolo

Ho creato un nuovo profilo Facebook, solo per il lavoro. Il che significa che invece di tenermi una lista di amicizie non accettate lunga quasi 300 persone, perchè non le conosco o perchè nessuno me le ha presentate, come faccio con il profilo personale, con la nuova "persona" sono libera di accettare chiunque, anche senza avere una pallida idea di chi sia. In mezzo ci sono comunque amici veri, ma per ora la maggioranza è composta di persone nuove, in qualche modo kendo-relate.

Un paio di giorni fa accetto l'amicizia di  un signore giapponese che mi scrive in italiano "Ciao, mi chiamo Kimura e insegno cucina italiana". Facciamo due chiacchiere, gli chiedo quali sono le sue specialità, poi mi dice che ha un ristorante e si firma Alex Kimura. E lì mi si apre un mondo.
Alex Kimura è il Kimura che compare in una delle foto in bianco e nero del libro di Franco Sarra (che io ho considerato sempre come una bibbia, tanto da rivestire la copertina di plastica trasparente come facevo con i libri di scuola) - il famoso cuoco giapponese che per primo insegnò kendo ai pionieri italiani. Un mito, insomma.
Finalmente ci siamo conosciuti, se così si può dire. Lui sta a Tokyo, ne ho comunque sempre sentito parlare dall'amico Nando in passato, al prossimo giro nel Kanto mi piacerebbe proprio conoscerlo personalmente, farci un bel keiko (mi ha detto che frequenta anche il dojo di Mitsubishi, dove non sono mai stata) e naturalmente cenare al suo ristorante.
Mondo piccolo.

Il libro era in bianco e nero, ma la foto originale no!

Polleggio

Questo sabato non mi corre dietro nessuno, ho solo l'allenamento dalle 17 alle 19,30 alla stazione di polizia di Kawabata. Quindi alla mattina mi rilasso, per quanto non sia un esercizio scevro di complessità.
Rilassarsi in casa mia qui significa poltrire a letto, passare tempo davanti al lap top,  cucinare qualcosa per pranzo, orecchiare la televisione senza capire granchè. Il tutto si svolge in due metri quadrati - forse non diversamente da come sarebbe a Utrecht, dove sarei seduta sul divano a guardare la mia adorata BBC.
Quello che mi manca qui è la BBC, in primis, ma anche una bella finestra sul giardino: qui ho una finestra a tutta parete, con il VETRO SMERIGLIATO che tanto piace ai Giapponesi. Nevica? Piove? Tira vento? senza aprire il vetro non è dato di sapere. Il minuscolo spicchio di cielo che il terrazzo lascia vedere (sopra l'ulteriore balaustra di VETRO SMERIGLIATO) è tutto quello che ho per competere con il mio bel giardino.
La mia preziosa amica Antonella mi ha detto che la Piccina è andata in moto al primo colpo. Che commozione. Non vedo l'ora di tornare ad aprile per portarla un po' a sgroppare in giro.
E quindi il mio polleggio di trasforma in un esercizio di nostalgia, perchè per quanto le mie necessità vitali qui siano tutte abbondantemente coperte, mi mancano i miei spazi, il flauto, il golf, la macchina, la libertà di passare un fine settimana a Parigi, a Londra o a Bologna. Mi manca la libertà di dire "andiamo a bere qualcosa in centro a Utrecht" alle amiche olandesi. Certo, posso farlo con gli amici giapponesi (non tutti, perchè hanno ritmi di vita complicati), ma da quando in qua le persone sono sovrapponibili ad uno ad uno? Ho voglia di vedere QUELLA persona, non un'altra, che per quanto carina gentile e disponibile che sia non è e non sarà mai QUELLA.
Questo dilemma è vero ovunque, ma qui, a 12.000 km di distanza (invece che a soli 1.200, ad esempio), la cosa morde di più.

Mi è capitato di dire ad un amico che giocava a fare il coach, mentre stavo valutando se venire qui o meno, che il lato positivo di venire così lontano sarebbe stato liberarmi degli influssi negativi di chi mi frequentava solo per vampirizzare un po' della mia energia, senza essere disponibile a darmene in cambio un po' della sua. Oggettivamente un'idea me la sono fatta, di chi è così e chi non lo è.
Adesso bisognerebbe passare alla fase due: chi ha il nerbo di allungarsi fin qui per vedere me? Catch me if you can.

domenica 9 febbraio 2014

Kangeiko

Sono stata all'Università OUHS a Kumatori a fare una cosa che si chiama Kangeiko - l'allenamento d'inverno. Dovrebbe essere una pratica che dura una o due settimane senza interruzione, ma visti i miei impegni di lavoro, ho potuto partecipare solo nel fine settimana. Era da un po' che non incontravo i maestri Sakudo e Kanzaki che insegnano costà, ci conosciamo da almeno 20 anni e negli anni scorsi ho sempre trascorso qualche giorno, se non una intera settimana, a praticare presso l'Università - sempre a primavera.
Il Kangeiko serve a temprare lo spirito, dicono, Lo fanno anche i bambini delle elementari, dico io. Ora che sono qui, andiamolo a fare, mi sono detta.
Ci sono poche cose che io detesti quanto il freddo. Il Kangeiko è il trionfo del freddo. Sabato nevicava, alle 4,45, quando sono uscita dalla Seminar House, già vestita per la pratica (in bianco) ed indossando qualunque possibile capo di biancheria termica immaginabile. Il fatto che nevicasse era molto positivo: significava infatti che: 1) si era almeno intorno agli zero gradi 2)le finestre della palestra sarebbero state tenute chiuse.
Si entra tutti nella palestra grande (tre campi da basket affiancati, con un soffitto altissimo), dopo essersi arrampicati per le scale scivolose di ghiaccio, si lasciano le scarpe all'ingresso e si ammira il colpo d'occhio: le mamme sedute ai lati, con i plaid sulle ginocchia e intabarrate come se fossero a Cortina, i bimbi a piedi nudi che si allineano per la corsa. Un serpentone di studenti, quattro a quattro, lungo quanto metà del perimetro. Il freddo è brutale. gli indumenti tecnici salvano la vita, ma i piedi sono nudi sul parquet gelido. Cominceranno a fare male fra poco, poi diventeranno insensibili, eventualmente sanguinolenti con il passare dei minuti. Si corre e si urla, a ritmo, non è una corsa veloce, ma è tutto quello che si ha per scaldarsi. Venti minuti, poi riscaldamento (?) a corpo libero, poi esercizi con le shinai, poi via a mettersi il Men sulla testa e si comincia. 40 + 40 minuti di ritmo indiavolato. Che si stia dal lato degli anziani o da quello degli studenti, poca differenza fa. Se ci si ferma, si gela. Si continua in un crescendo. Dietro alle mie spalle, gli allievi che hanno già lasciato l'Università  (gli Old Boys) sono già nella fase in cui pestano a terra gli studenti più giovani. Io queste cose non le faccio, perchè non mi pare il caso, ma certo bisogna fare di tutto per far tirare fuori la lingua agli studenti. A volte si presentano bambini piccolissimi. Sembra di fare allenamento con Ciccio Bello Kendoka. Fanno morire dal ridere, ma anche di tenerezza. Poi stuccano pacche indicibili sul tuo polso ormai illividito e la tenerezza sfuma un po'.
Dopo i 40 + 40 di esercizi vari, ci sono ancora 40 minuti di combattimento libero. Se si aspetta un maestro in fila, si muore. Allora si può restare dalla parte degli anziani e far passare uno studente dopo l'altro. Avendo fatto questa pratica due volte, dalle 5,15 alle 7,45, sabato e domenica, ho potuto sperimentare entrambe le opzioni. Preferisco stare dal lato degli studenti, anche se implica a volte attese un po' troppo lunghe per le circostanze.



Ovviamente, mentre si fa tutto ciò e lentamente il giorno avanza dietro ai finestroni disgraziatamente aperti della palestra, ci si domanda MA PERCHE' SONO QUI? e soprattutto, PERCHE' CONTINUO? Quando ci si ferma per il saluto finale e tutti in fila si fanno le nuvolette con il fiato, ci si rende conto di aver fatto una cosa al di là di ogni umana forma di buon senso.

Il primo giorno, mentre eravamo allineati pronti per partire con la corsa, guardavo il serpentone blu degli studenti davanti a me. Hanno cominciato a correre, scandendo con le grida il ritmo. Un freddo inimmaginabile. Mentre li guardavo, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata: "Ma come hanno fatto a perdere la guerra?". Poi subito dopo, il flash: ad un tratto ho capito perchè alcuni strateghi americani poco portati per gli approfondimenti culturali abbiano deciso di appiattire Hiroshima e Nagasaki. Senza un'atomica, i Giapponesi non si sarebbero fermati mai.
Che gente.

domenica 2 febbraio 2014

Fagioli di primavera

Questo fine settimana si festeggia il Setsubun - ovvero l'ultimo giorno prima della Primavera, che secondo il calendario lunare inizia il 4 febbraio. Sembra incredibile, ma qui è primavera davvero. La temperatura è salita in modo sensibile ed io sono già preoccupata di non avere (di nuovo) i vestiti adatti.
Essendo Setsubun, si va nei santuari Shinto a farsi buttare i fagioli. Vengono gettati sulla gente dai sacerdoti e acchiapparli al volo è un obiettivo molto ambito. Giusto perchè siamo in Giappone, queste situazioni non si trasformano in bagni di sangue: tutti sono molto composti - oppure, come me, si comprano una bustina di fagioli e un biglietto della lotteria per 200 o 300 modici yen.
Ho voluto fare le cose per bene e come al solito ho passato la giornata camminando - non esattamente riposante, dopo un sabato di kendo intensivo.
Alle 13, danza delle maiko allo Yasaka Jinja, giù a Gion. Prima la danza tradizionale, poi sacerdoti e maiko buttano i fagioli (che servono a scacciare la sfortuna) sugli astanti.














Come al solito, il mio primo obiettivo è l'osservazione dei Giapponesi, quindi, non contenta, mi sono fatta prima una lunga passeggiata fino al mercato coperto di Nishiki Dori, solo per il gusto di accodarmi alla folla della domenica pomeriggio. Mi sono ricomprata le gelatine al the verde che si erano autodistrutte nel bagaglio a mano durante il volo di ritorno natalizio. Me ne sono mangiate alcune subito, per non correre rischi analoghi. Buone, non irresistibili, ma buone. Continuo nel mio tentativo di recuperare il rapporto con la pasticceria giapponese, impresa che ritengo disperata, ma che almeno mi ha regalato i mitarashi dango.

Per completare la giornata, sono andata anche allo Yoshida Jinja, vicino all'università. Cielo, la scala è diversa, soprattutto per l'infinita teoria di stand gastronomici che prosegue in quadruplice fila fin dentro al santuario. Mercanti nel tempio? I Giapponesi non moraleggiano in merito.
Non ho ceduto alla tentazione, più per principio (non sono una, per dirla come avrebbe detto papà, "con il becco sempre aperto") che per altro. Fuori pasto non mangio e per giunta una certa Sindrome da Asino di Buridano mi ha un po' paralizzato: la scelta era impressionante: ramen, yakitori, salsiccie tedesce, kebab turchi, hamburger monumentali, okonomiyaki, takoyaki, yakisoba, yakiudon, pescetti alla griglia, mele e fragole candite sullo stecco e certe imbarazzanti banane ricoperte di cioccolato rosa (ehm...), punteggiate di granelline dolci... profumi deliziosi e prezzi più o meno oltraggiosi - naturalmente folla strabocchevole, che mi ha costretto ad avanzare fino al santuario a passo di formica.
Una volta arrivata ho comprato i miei fagioli in bustina, ho ammirato la danza rituale di una miko che consacrava frecce-amuleto per i fedeli (solamente 3000 yen l'una), ho guardato distrattamente i premi della lotteria monstre di cui mi è stato consegnato un biglietto, insieme ai fagioli, mi sono arrampicata un po' per i sentieri e le scalinate del santuario e poi me ne sono tornata, lentamente, a casa.
Stanca morta.




Compleanno continuo

Ormai è inevitabile che i miei compleanni si espandano come i gas. Non è che mi dispiaccia, anzi!

Venerdì sera cena italiana con Chiharu, una nuova amica - anche lei lavorava nel mio stesso reparto in azienda, l'ho conosciuta ad una cena con i colleghi l'anno scorso e siamo rimaste in contatto.
E' una persona piuttosto straordinaria: innamorata della letteratura norrena, si è laureata nella materia e poi ha preso su e se ne è andata in Islanda, tutta da sola. Là ha conosciuto suo marito e da qualche anno hanno deciso di tornare in Giappone.
Siamo uscire a cena una sera prima di Natale e venerdì abbiamo replicato. le avevo raccontato di un ristorante vicino al Centro Italiano di Cultura. Non che ci fossi stata, ma avevo chiesto indicazioni al gestore che stava aprendo il locale, in una delle mie prime ricerche di casa (stavo cercando la Room 101 (orwelliana...) di una certa weekly mansion, che si era rivelata una stanza al piano terra, virtualmente senza finestre e per giunta in un edificio impacchettato per ristrutturazione.... da soffocamento!). Mi ero ripromessa di provare il ristorante, così, per sfizio o per gratitudine, e avevo raccontato la cosa a Chiharu. Venerdì dunque era la sera. Chiharu, che lavora all'università di Kyoto, quindi lì vicino, avrebbe prenotato.
Ci siamo trovate davanti alla Trattoria Pizzeria Italiana da Luciano. Prima scoperta, non era il ristorante giusto, ma sembrava carino e l'idea di mangiare la pizza mi sorrideva. Entriamo e il cameriere giapponese urla qualcosa verso la cucina che assomiglia a "Due Clienti !!!". Un bel forno a legna in fondo alla sala, la cucina a vista, bel decoro (niente tovaglie a quadrettoni o fiaschi di Chianti) - tutto molto sleek. Bene! Non un italiano in vista. Male! Il menu contempla anche varianti di pizza sofisticate: 4 formaggi con pasta alla romana (ovvero sottile) o con pasta alla napoletana (ovvero più puffosa). Ne ordiniamo una e una (allo straordinario prezzo di 2000 yen ciascuna, come dire, 15 euro e sblisga, un vero insulto a Dio e agli uomini, ma questo è il Giappone, che mi aspetto?). Arrivano due pizze bianche, ben condite... oh, il gorgonzola mi mancava e non me ne ero resa conto. Un buon Nero d'Avola, insomma, tutto più che accettabile. Paghiamo il conto ed usciamo. Il cameriere ci accompagna fin fuori, come si usa qui, inchini su inchini. A quel punto è inevitabile chiedere: " Ma Luciano chi è?" "Lo Chef" "Ma lo Chef è italiano, allora?" "No, no. Luciano è un soprannome...". Beh, avrei in mente io un nome, ma tant'è...
Chiharu comunque è stata così carina da portarmi un regalo di compleanno, che ha portato il totale a ben 3.
Ieri poi ho visto di nuovo Fumi e Manami, che sono venute da Osaka per un allenamento tutto al femminile. Siamo uscite a pranzo insieme e abbiamo celebrato di nuovo. Il compleanno continua....