giovedì 14 aprile 2011

Lounging

Lounge The Oasis a JFK. Divano comodo, uno strano ronzio nell’aria, un po’soporifero. Ottimo succo di pomodoro, tutti gli ingredienti a disposizione: limone, tabasco, Worcester sauce, sale e pepe. La qualita’ di una lounge si vede anche da questi dettagli. Un’oretta prima di imbarcare, il mio capo fa il download sull’iPad del suo quotidiano preferito, io scrivo per il mio blog.

Finalmente abbiamo visto un po’di luce. Abbiamo anche avvistato la skyline di Manhattan in distanza, mentre la limousine ci portava in aeroporto – so gia’ quali film vedere a bordo, sara’ una maratona perche’ abbiamo appena sei ore di volo.

La cena di ieri sera e’ stata davvero notevole: ed in verita’ avevo bisogno di consolazione. Siamo andati da Morton’s, un ristorante con una infinita’ di coperti, ma con una bella atmosfera. Ci avevano gia’ avvisato che il conto sarebbe stato salato, ma in fondo la cena la paga il mio capo: suo il budget, suo l’onore di scialacquarne un po’ anche per me. La cameriera recita una filastrocca incomprensibile, maneggiando al contempo tagli di carne e verdure, per far capire ingredienti e dimensioni – spero proprio che si tratti di repliche di cera, come si usano in Giappone. Comunque sia, se non ci mostrasse gli oggetti del desiderio, non capiremmo una parola di quello che va raccontando. Io comincio con un antipasto di Ostriche Rockefeller ed entrambi scegliamo un bel filet mignon – come accompagnamento, bucce di patata. Ebbene si’, pare che si tratti di una bizzarria irlandese: ti portano una patata tagliata a meta’ e praticamente del tutto svuotata della polpa, resa nera e cuoiosa dalla cottura. Le due meta’ vanno ricongiunte e mangiate (con notevole sforzo manducatorio) dopo essere state riempite di burro, panna acida e pancetta affumicata croccante. Un attentato alle coronarie: ironico, considerando che per legge, in tutti i ristoranti dello Stato di New York, devono essere indicate le calorie accanto ad ogni voce di menu. Americanate, lo so. Abbiamo innaffiato il tutto con un buon calice di Pinot Nero di Mondavi “Special selection”. Morbido, rotondo, piacevole – direi un po’sul ruffiano, ma ci stava. Per dessert, io una tarte tatin (ma fatta in cocotte e rovesciata), il mio capo un tortino tiepido di cioccolato, amaro e pesantuccio – ma delizioso.

Sono tornata in hotel piuttosto rinfrancata. Ebbene si’, pero’, ci sono ricascata: un po’di zapping e poi ho finito per indugiare sulle highlights dei Masters del 1986. In momenti cosi’, mi sembra quasi di sentire ringhiare e guaire la volpe che cerca di di scappare dal guinzaglio, il collo ormai scarnificato contro il cuoio del laccio, la bava alla bocca e lo sguardo spiritato. Ci prova, ci prova, ma alla fine rimane legata tanto quanto prima. Poverina, mi fa una pena infinita, chissa’ quanto tempo le ci vorra’.

Ho appena ricevuto una proposta. Ho una candidatura spontanea alla posizione di uomo oggetto: un toy boy da prendere e usare alla bisogna. Incredibile, l’era Berlusconi ha sdoganato le bestemmie, la prostituzione minorile e pure il ruolo del gigolo’. O tempora o mores. Beh, questa offerta almeno non prevede lo scambio di denaro. No, sorry, passiamo oltre. Non mi sembrava di aver fatto capire di cercare qualcuno per la suddetta posizione, ma deve esserci una parte della psiche maschile che recepisce strani segnali da parte mia. Forse dovrei cominciare a dire in giro che cerco un FIDANZATO, orrenda antiquata parola, ma che dovrebbe escludere ogni equivoco. Astenersi mariti altrui, singles scompensati e in generale promiscui fedifraghi. Gosh, ormai parlo proprio come Bridget Jones...

Nessun commento: