lunedì 21 dicembre 2009

Considerazioni sull’Olandese – gli uomini

Oh, questo è un argomento difficile. La Legge del Consulente recita: “Quello che si sa, si sa. Quello che non si sa, si inventa”. Nel caso degli uomini olandesi, beh, devo proprio inventare. Dopo più di due anni qui, quello che so degli uomini olandesi è soprattutto basato su quello che ho letto sui libri di testo (sì, quelli di scuola) perché devo ammettere di averne avvicinati davvero pochi. Oddio, pochi che considero “uomini”. Mi spiego.
Prendiamo i miei studenti di kendo: splendidi esemplari: divertenti, molto istruiti, intelligenti, rispettosi, indipendenti (per niente bamboccioni, voglio dire). Sono tutti pronti a viaggiare, a fare esperienze di studio e di vita all’estero. Tutti purtroppo troppo giovani perché li possa considerare “uomini”. Potrebbero essere miei nipoti o miei figli – e ne sarei sicuramente molto orgogliosa.
Chi altro? I miei compagni di palestra di Amsterdam? Di età già più compatibile (ma appena appena), simpatici, corretti, qualcuno di bell’aspetto. Ma la domanda sorge spontanea (come era stato per i tedeschi ai tempi in cui abitavo a Ruesselsheim): come si riproducono gli Olandesi? Certamente lo fanno, perché sono pieni di figli (comparati agli Italiani, sono veri conigli) – ma il procedimento in base al quale l’attrazione (anche quella brutalmente fisica) si esprime e si trasforma in comunicazione e poi in “finchè morte non ci separi”, mi è totalmente trasparente. Come mi ha competentemente spiegato Haraald, il mio professore di olandese, che canta l’opera da tenore, “gli uomini olandesi non sono Don Giovanni”. E accidenti, questo è chiaro! Mi manca certamente la sensibilità – già gli eccessi fin troppo espressivi dei maschi italiani tendono ad ottundere i recettori del corteggiamento, poi io sono sorda come una campana già di mio: probabilmente avrei bisogno di una lettera raccomandata per capire che mi si stanno mandando dei segnali. E quando questo succede, se per caso me ne accorgo, al 90% mi offendo: ma come ti permetti? Ma ti sei visto allo specchio? Sono ridotta così male che un relitto/un idiota/un tappetto come te può sperare che io lo fili? Ora, posso anche essere stata sfortunata, ultimamente, ma, cavolo, il piatto piange! Quindi, che cosa mai sperare qui in Olanda, dove sono così abbottonati ed indifferenti (almeno in apparenza)? Mmm, non voglio rispondermi…
Ma vediamo il modello dell’Olandese di età compatibile che si vede girare per strada: ok, ignoriamo la bella moglie bionda e i tre ragazzini al seguito (tutte cose che spengono la libido all’istante). Ho individuato due categorie distinte – entrambe meritevoli di approfondimento, se così si può dire.
La prima è quella del bel frassinone sportivo, ben conservato, alto come piace a me. Tipicamente biondo, con il capello corto – l’Olandesone dello stereotipo. Appetitoso, ma un po’ monodimensionale. Probabilmente passa il pomeriggio della domenica giocando con i figli e guardando il pattinaggio in tv. Se ha pattinato pure lui, dovrebbe avere delle cosce sconcertanti (santo cielo, io vorrei vederli dal vivo ‘sti pattinatori: cosce come due autobotti, cantava Mina) e sicuramente porta i figli a scuola in bicicletta sotto la tormenta. Alle 17 in punto scatta dall’ufficio e alle 18 prepara la cena. Se può, lavora 4 giorni a settimana. Per il resto, interpreta il topos del marito e padre premuroso – tanto sa di certo che i figli non vedono l’ora di andarsene di casa (mica gli rimangono sul groppone fino ai trenta) e passeggia per Utrecht facendo shopping con la moglie di cui sopra. Ecco, da giovane Rutger Hauer poteva essere il perfetto rappresentante del frassinone olandese. Il replicante di Blade Runner, il cavaliere di Ladyhawke – eccolo lì. Occhio azzurro, opportunamente nordico, ma non privo di profondità…

La seconda categoria ha pregi più difficili da cogliere – si vede circolare per Utrecht all’epoca del Nederlands Film Festival (anche lui ha la tremenda moglie bionda al seguito, ma non i marmocchi) o magari in libreria: lo definirei l’intellettuale radical-chic (ma magari ha l’abbonamento in curva al Galgenwaard). Forse non così alto e muscoloso (forse c’è una mezza generazione di differenza, quando gli ormoni della crescita non filtravano dall’erba dei polder al latte della colazione?), porta gli occhiali, ha il capello un po’ più lungo ed ha un viso di solito più espressivo. Poffarbacco, questa tipologia promette molto di più dell’altra, quindi la trovo decisamente più intrigante. Talvolta lo vedi discutere con un amico seduto al caffè – sembra che abbia delle cose da dire, anche! Un bel senso dell’umorismo – di solito parecchio pungente: sono da maneggiare con cautela, ma si sa, più sono pericolosi (intellettualmente), più mi piacciono. Un altro parallelo con un attore? Jeroen Krabbè ora ha 65 anni (come Hauer), ha gigioneggiato parecchio in gioventù, ma ora ha proprio questo look, anche se un po’ ageè per essere potabile. In Italia è poco conosciuto, ma si è visto più volte (la prima e più clamorosa: interpretava Satana vestito Armani in un “Gesù” post-zeffirelliano che fece abbastanza scalpore. Poi è stato un Cattivo Bondiano – ecco, già si intravvede uno schema…).
Bah. Gli uomini olandesi. Rimarranno sicuramente un mistero, per me, come l’uso corretto della particella ER. Chissà, forse è meglio così!


sabato 19 dicembre 2009

Considerazioni sull’Olandese – la lingua


Ci penso da un po’, visto che dedico tanto tempo a studiare questo idioma di nicchia. Una gran fatica, anche se virtualmente riesco a leggere tutto (specialmente se conosco l’argomento) e so scrivere tutto quello che so dire. Peccato che la comprensione verbale sia così complicata e che il vocabolario che uso è molto più ridotto di quello che capisco (accidenti, se riuscissi ad esprimermi allo stesso livello di quello che riesco a capire leggendo, avrei già risolto un sacco di problemi).
Gli Olandesi parlano mangiandosi le parole, hanno forti variazioni di accento, il linguaggio quotidiano è pieno di allusioni, elisioni, crasi, ellissi e chi più ne ha più ne metta. Ma in fondo tutto questo è vero per qualunque lingua – era un ostacolo per il mio inglese trent’anni fa, quando i miei neuroni erano più freschi e le sinapsi meno arrovellate. Se non fosse poi che il mio tedesco ha deciso di riemergere dispettoso ad ogni piè sospinto… ieri in pasticceria non sono riuscita a trovare di meglio di un suessigheiten per farmi capire – e la parola che mi mancava era zoetigheden: questo mi fa arrabbiare, perché forse in vita mia non ho mai usato la parola suessigheiten parlando in tedesco e comunque, nel momento in cui è emersa avrei potuto senza fatica traslitterarla nell’equivalente olandese: ma no, la pigrizia mentale ha prevalso.
Non sapevo di sapere così tante parole tedesche – probabilmente sono tutte lì, dormienti, in attesa di essere evocate, come lombrichi in letargo (i lombrichi si affastellano e dormono sottoterra – è un’immagine che mi è rimasta in testa dalle elementari). Non appena si apre uno spiraglio, perché la parola olandese tarda a riempire lo spazio vuoto, pop!, la parola tedesca salta fuori automaticamente, a tradimento, direi. Snervante! Ieri ho detto kaffee invece di koffie senza nemmeno accorgermi – e si tratta una delle parole più olandesi che ci siano!
L’Olandese non ha la lucente precisione metallica del Tedesco, sia nel suono, sia nelle espressioni – mezze consonanti, mezze vocali, ben diverse dai suoni precisi dell’Hochdeutsch. Non voglio scatenare polemiche, ma l’Olandese sembra una forma “consumata”, “usurata” di Tedesco – ma sicuramente l’evoluzione della lingua non sarà stata certo questa… d’altro canto gli Olandesi sono più espressivi dei Tedeschi – provate a sentire una trasmissione radiofonica, lo stato d’animo traspare molto più facilmente dall’espressione, dal tono, dal ritmo del parlante olandese, che non dal modo di esprimersi del parlante tedesco. Sicuramente ci passa in mezzo un bel po’ di differenza culturale, ma in fondo queste sono chiacchiere in libertà, mica un trattato di sociolinguistica, e quindi posso permettermi un po’ di considerazioni superficiali.
Chissà se tutta questa fatica (che avrei potuto fare piuttosto per il Neogreco, che però mi rifiuto di approcciare per dispetto: cosa hanno fatto al Greco del mio ginnasio?) mi porterà fortuna e riuscirò a rimanere qui?

venerdì 18 dicembre 2009

Sneeuw






Ha nevicato ieri e oggi c'era il sole. Una giornata ottima per una passeggiata, stando attenti al ghiaccio. Ieri le ferrovie sono andate in tilt - non dovendo andare da nessuna parte, ho potuto apprezzare l'aspetto lirico della nevicata. I vantaggi della disoccupazione...

mercoledì 16 dicembre 2009

L'inferno del '63


Due giorni fa c'è stata la prima "regale" (i.e. con il solito Principe Willem Alexander) di De hel van '63, un film che racconta la epica Elfstedentocht del 1963, notoriamente uno degli anni più freddi del secolo scorso. Visto che la gara raccontata ebbe luogo qualche giorno prima che io nascessi, mi riesce inevitabile pensare a quanto fosse stato complicato per mia madre andare alla maternità, a causa della neve. Anche nel viaggio del signor Marri verso via D'Azeglio ci deve essere stato dell'epico...
Sono molto affascinata dalla Elfstedentocht: non so pattinare, ma mi piace l'idea di questa mostruosa, inumana maratona sul ghiaccio - che per ovvi motivi (forse ovvi per qualcuno in questi giorni a Copenhagen, ma nemmeno per tutti) non può svolgersi tutti gli anni. Oggi è piuttosto freddo qui, ma di solito queste giornate serene di gelo non durano a sufficienza per far ghiacciare i canali e far scattare la follia pattinereccia degli Olandesi.
Chissà se il film sarà in olandese o in frisone?

http://en.wikipedia.org/wiki/Elfstedentocht

martedì 15 dicembre 2009

Thessaloniki mon amour



Diciamo che un anno senza un paio di viaggi in Grecia sarebbe sicuramente un anno anomalo. Ormai è diventata tradizione, (una bella tradizione che devo tutta ad Anna, che mi ha invitato per la prima volta nel 2005) e sono proprio contenta di poter veder crescere anno dopo anno (semestre dopo semestre?) il kendo greco.
Questa volta ho potuto anche apprezzare la vista dalla stanza del mio hotel di Volos, dove si sono tenuti i quinti campionati greci...
Ho goduto dei colori invernali del mare greco: tutte le sfumature del grigio e dell'argento e del verde e dell'azzurro - fredde, ma belle, come solo le cose fredde riescono ad esserlo.
Ma Volos rimane sempre una parentesi: arrivo a Thessaloniki e da Thessaloniki riparto e per fortuna riesco a godermela un po'. Non l'avevo ancora vista così natalizia, con le navi illuminate (in Grecia ci sono i velieri di Natale, più tradizionali degli alberi di importazione). Il lungomare rimane il punto di forza del paesaggio - assieme ai chocolate brownies del Kitchen (con la bella musica di sottofondo). Bella Thessaloniki. Ci tornerò.




venerdì 4 dicembre 2009

Il suono delle eliche


Ieri sera sono riuscita a realizzare un desiderio - uno piccolo, in un periodo in cui ne ho parecchi e piuttosto cospicui: d'altra parte bisogna fare piccoli passi ed esserne contenti. Ieri sera sono stata felice come una bambina.
Tante volte ho sentito dire che molta opposizione verso le pale eoliche (che io trovo bellissime, oltre che utili) è dovuta al fatto che sono rumorose. In tutto questo tempo passato in Olanda di pale ne ho viste tante, ma non sono mai riuscita ad arrivare sufficientemente vicina per apprezzare il vero suono di una elica in pieno movimento. Ho sentito il rumore di un mulino a vento, ma certamente non si trattava della stessa cosa, per quanto fossi rimasta impressionata dalla velocità delle vele.
Ieri sera, in una scappata serale con Elena, siamo arrivate fino al Maasvlakte. Lei lavora lì vicino ed effettivamente lo spettacolo serale è straordinario: il porto, le raffinerie, i centri di stoccaggio dei containers offrono architetture di luce straordinarie: paesaggi stranamente alieni, perchè non ricordano città illuminate, ma piuttosto astronavi pronte a decollare o basi spaziali: Utopia Planitia non dovrà sembrare molto diversa... Mi rendo conto che tutto questo rientra un po' nel mio strano senso estetico da ingegnere, ma come al solito ho sentito il desiderio di fare parte di questo strano mondo notturno, fatto di fiammate bluastre, luci intermittenti, gru alte come cattedrali e navi smisurate cariche di blocchetti del Lego (almeno così sembrano in distanza...). Ho sbagliato specializzazione, evidentemente.
Elena mi ha fatto poi un regalo ancora più grande: mi ha portato con l'auto fin sotto uno schieramento di eliche, allineate lungo un argine: alla destra le luci del porto, a sinistra il nero del mare, le luci delle navi alla fonda, qualche occasionale luce di faro. Stando seduta in auto (il tempo non era particolarmente clemente), ho abbassato il finestrino e ho guardato in alto, verso la cima. L'elica girava veloce, era quasi un'ombra nel buio della notte. Ma il suono! le pale fendevano l'aria con una vibrazione quasi soprannaturale, un battito regolare, ma anche un sibilo, un soffio, un ronzio. Non sono riuscita a trovare le parole per descriverlo: era affascinante, avrei potuto stare ad ascoltare per ore, come se fosse un richiamo o un segnale - emanava un senso di potenza, quasi spaventoso, ma forse per questo incredibilmente attraente. Il canto di una sirena meccanica?