sabato 26 aprile 2014

Vita Kyotoita

Tornata al lavoro, la vita di Kyoto mi ha riassorbito in un batterdocchio.
Sono stata con i colleghi a scegliere i nuovi broccati di seta per le sacche per le shinai in un laboratorio di Nishijin, poco lontano dall'ufficio. Ho incontrato amici che sono venuti a fare shopping nel negozio sotto al'ufficio: dall'Italia, dall'Olanda, dalla Nuova Zelanda.
Presto inizierà la Golden Week, il picco della stagione di Kendo qui a Kyoto. Io sarò presissima da allenamenti e incontri - forse si tratterà un po' di lavoro, ma chi se ne accorge?
Le giornate sono splendide, è una gioia andare in giro in bici (ed è un peccato stare chiusi in ufficio). Peccato anche che sia io, sia la mia collega Sara si abbia avuto le biciclette forzosamente rimosse per aver parcheggiato in un'area proibita (in 7 anni di Olanda non mi è mai successo, ma qui in Giappone sono tremendi), in una sera passata a cena con amici venuti dall'Italia. Poco male, si paga e si riportano a casa.
Avendo di nuovo assaporato il piacere di avere un mezzo di trasporto sotto al sedere, oggi sono uscita con un libro (Game of Thrones) alla volta di un parco. Mi sono fermata al Palazzo Imperiale, mi sono seduta sotto un albero e mi sono goduta la primavera.
Domani, ancora a spasso: a Nara, per fare un po' la turista con gli amici e poi per fare Kendo.
Domenica è sempre domenica.

Andare, tornare

Ormai sono tornata da più di una settimana dal mio tour europeo. Mi sono guidata Olanda, Germania, Svizzera, Italia, Francia e Belgio in lungo e in largo ed ho assistito alla storica doppia vittoria delle squadre italiane agli Europei di Clermont Ferrand. Ho usato 8 dei miei 10 giorni annuali di vacanza ed ho lavorato in trasferta. Ho ritrovato le mie case, il mio giardino, i miei amici, la mia famiglia.

Tornare è stato particolarmente difficile. Non tanto perchè non volessi tornare alle cose che sto facendo a Kyoto, che sono divertenti in prevalenza, ma perchè non volevo lasciare di nuovo l'Europa, dove conosco tanti e dove c'è tanto che amo, che sia mangiare il salame di Felino o passeggiare sotto la Tour Eiffel, o pranzare nel mio giardino olandese con la simpatica vicina, o poter abbracciare la mia mamma.

Quello che molti non realizzano, quando commentano con più o meno celata invidia il fatto che sono sempre in viaggio, è il dolore straziante del partire. Avere nostalgia sempre di qualche altro posto, dovunque ci si trovi, è una condanna terribile, perchè è un rumore di sottofondo che non ti lascia mai.
Gli anglosassoni chiamano la nostalgia diversamente dai latini: homesickness o heimweh. Io credo che queste parole esprimano meglio cosa è la nostalgia: una malattia, un dolore. Non esiste una cura, perchè una volta che un luogo ti entra negli occhi, nelle orecchie, nel naso, non lo puoi cancellare più. Si passa la soglia del dolore con una rapidità sconcertante.

Di quanto posti sento la nostalgia? non mi metto nemmeno a fare la lista. A volte ci ho abitato, a volte ci ho lavorato, a volte li ho visitati in vacanza o per il Kendo. A volte sono stati i paesaggi a entrarmi dentro, a volte le persone che ho incontrato. Oppure la luce.
Quando poi parliamo degli spazi fisici in cui ho condotto la mia vita per anni, come si fa a non capire quanto mi manchino? Le stanze dove sono tornata la sera dopo il lavoro, dove ho cucinato per gli amici, dove ho raccolto i miei libri... le finestre da cui ho visto susseguirsi le ore, le stagioni, gli anni...

E' ovvio che bisogna guardare avanti - concentrarsi sul presente - ma ci sono momenti in cui il dolore da ingoiare è tale che mi domando se un giorno non esploderò come un palloncino. Ma no, non si muore d'amor perduto, nemmeno si muore di nostalgia. E avanti così, confezionando il prossimo crepacuore.