venerdì 3 giugno 2011

Bologna



Colazione in via Orefici. Quattro passi per il Quadrilatero. Gli occhiali nuovi dal mio ottico storico (ci vado da quando avevo 13 anni). Bologna al suo meglio, in una bella mattina di tarda primavera.

Io non sono andata via da Bologna volontariamente, nel 1992. Mi sono sentita cacciata via. Dopo essermi fatta un mazzo tanto per diventare ingegnere, dopo aver lavorato per IBM presso l'Università, il mercato bolognese mi offriva solo modesti posti da programmatrice a un milione e mezzo al mese. Non era certo quello per cui mi ero tanto data da fare: quando, per un colpo di fortuna (?), il mio CV finì sul tavolo di un direttore di una azienda di consulenza milanese (grazie Marco), la mia vita cambiò per sempre. Lo stipendio, il tipo di lavoro, le prospettive erano di gran lunga più allettanti di quanto Mamma Bologna potesse mai offrire ad un ingegnere elettronico all'epoca e così partii. Per l'orrida Milano, l'incubo di ogni bolognese nato entro le mura.
Sistemata la mia vita e la mia carriera a Milano, il mio mondo bolognese andò a pezzi nel giro di tre mesi. Potrei quasi affermare che tutti i ponti si erano bruciati alle mie spalle – non c'era più la vita di prima alla quale tornare, non avevo altra scelta che guardare avanti e lasciare Bologna per sempre dietro di me.
Per questo Bologna non si apre come un porto di ritorno tranquillo, ma mi offre sempre un modo di mettere il sale sulle ferite. Anche se camminando per strada ho sempre l'impressione di vedere qualcuno che conosco, da un lato temo anche di vedere facce sgradite, che appartengono ad un passato remoto, ma che, per via della mia memoria granitica, potrebbero ancora farmi salire il sangue alla testa e farmi provare istinti omicidi mai del tutto sopiti.
Detto ciò, io amo Bologna, come si può amare qualcuno che si è perduto, ma che per lungo tempo è stato una grande passione. Sono sempre stata smisuratamente orgogliosa di essere bolognese, adoro il colore dei mattoni, ammiro le torri, i portici, gli ippocastani dei viali. Mi piace mostrare Bologna agli amici forestieri, ma so di non essere più una pianta di questo bosco.
A volte provo quasi un'invidia rabbiosa per chi è riuscito a rimanere, come alcuni compagni di università o certi amici di gioventù. Ma sono moti dell'animo che passano in fretta, prima di tutto perchè l'invidia non fa parte della mia natura e poi perchè, sì, sono smisuratamente felice della vita che ho avuto, anche se tanto ancora mi manca (un compagno, un porto di arrivo, un po' di pace dell'anima). E se Bologna non mi avesse spinto via a calci, non avrei mai visto tutto quello che ho visto, fatto tutto quello che ho fatto, raggiunto tutto quello che ho raggiunto e non sarei mai diventata quello che sono: e tutto sommato, mi va bene così.

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