martedì 15 gennaio 2013

A come Andromeda


I miracoli della Rete. Resurrezioni, riscoperte, rivisitazioni.
Da bambina detestavo quando una serie finiva - l'ultima puntata e il vuoto che ne seguiva sembravano irrimediabili e definitivi. A quasi cinquant'anni, mi accorgo che di definitivo non c'è proprio niente e che non è necessario essere Fabio Fazio per recuperare la Nonna del Corsaro Nero, i Forti di Forte Coraggio e A come Andromeda.


A come Andromeda: 5 puntate trasmesse nel 1972 - eppure ancora vivissime nella mia immaginazione, anche se il ricordo era piuttosto nebuloso. Mi ricordavo bene i terminali del computer, le mani ustionate, la morte di Andromeda sugli scogli. Il resto, molto peggio.
Visto che lo sceneggiato è disponibile interamente sul sito della RAI me lo sono riguardato con grandissimo interesse.
In primis, gli attori erano eccellenti, tutte voci note del doppiaggio, ma soprattutto attori di teatro. L'unica concessione al glamour, Paola Pitagora con le sue minigonne. Luigi Vannucchi: la sua morte mi impressionò molto. Devo dire che ho riscoperto non solo quanto fosse attraente, ma anche quanto bravo fosse.
La storia è buona, niente da dire: fantascienza di qualità. Le scene sono credibili (per gli anni Settanta), un po' meno l'ambientazione: la campagna lombarda per quella inglese, la costa sarda per quella scozzese. Ma in fondo, che sapevo io nel 1972 di come fossero la Lombardia, l'Inghilterra, la Sardegna o la Scozia? Non credo di essere stata l'unica a non poter dire la differenza, a quei tempi.
E' stata una strana rivelazione, rivedere lo sceneggiato nella sua interezza. Un po' maliconica, pure: per la storia, per la fine di Vannucchi, per la scomparsa della televisione di qualità.


Oddio, non è che io abbia bisogno di malinconia in questi giorni: il ginocchio ancora recalcitra, conosco troppe persone viscide e infide (e devo continuare ad averci a che fare), l'Uomo della Mia Vita non si è ancora appalesato: vero è che più passa il tempo, più si accorcia la vita residua, meno difficile trovare l'Uomo medesimo: perlomeno, per meno a lungo deve dimostrare di essere all'altezza del titolo. Non è pensare positivo, questo? Vedete, mi sto sforzando.

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