giovedì 5 maggio 2011

"Sentimentaaaal, questa notte infinita..."


... cantava la Wandissima.
Ultima notte a Kyoto. Appena uscita dalla doccia, ancora ho intorno i bagagli da riassemblare. ci penserò fra poco. Non voglio arrendermi subito al sonno e certamente domattina vorrò svegliarmi non appena fa chiaro per fare l'ultima passeggiata qui intorno. La navetta viene a prendermi alle 7,15, ma dalle 4,30 si vede già più che bene.

Stamattina la sveglia era puntata alle 5,30, per l'ultimo allenamento del mattino (e del mio soggiorno qui), ma il cellulare ha cominciato a suonare alle 4,44. Chi sarà mai che non sa che sono in Giappone? Syam, il mio gioielliere indiano, che mi ha venduto a Mandawa il bell'anello con i granati che tutti mi ammirano. E' in Italia, mi chiede quando ci vediamo. Mmm, un'impresa. Ma sono 10 anni che mi cerca: ha detto che sono la donna della sua vita e per quanto i suoi parametri mi siano abbastanza oscuri (nè intendo chiarirli) devo dire che finora ha continuato a cercarmi con una pervicacia che talvolta mi disarma. Come faccia a telefonarmi sempre quando sono nei posti più irraggiungibili del pianeta, questo non lo so. Il gestore del roaming gode.

Oggi ultimo allenamento, dicevo. Ho fatto combattimento libero con 5 dei migliori kendoka del Giappone, raccogliendo davvero una miniera di spunti, ho bisogno di tutto il prossimo anno per lavorarci su. Molto produttivo. Ho passato 6 ore a vedere i combattimenti degli ottavi dan e alla fine della giornata, come sempre, ero a pezzi. Ho visto alcune tecniche di alta classe, tante mazzate e i soliti irriducibili ultraottantenni che chiudono il programma. Già le bancarelle del mercato intorno al Butokuden stavano sbaraccando, la solita mesta cerimonia di chiusura, nella sala che già si spopola - i maestri corrono in stazione o all'aeroporto o, più facilmente, in qualche bettola a bere con gli amici che vedono solo in questa occasione ogni anno. Anche se il programma è stato comunque ricco, chiaramente molti mancavano. Inevitabile pensare al perchè. Ho finito di sfinirmi con le ultime compere: distrutta, sono tornata un'oretta in hotel.

L'ultima sera, da sola: che fare per trattarsi bene? Unagi! Su Kawaramachi i ristoranti non mancano. Ne ho trovato uno che Unagi ce lo aveva scritto già sull'insegna, non ho dovuto pensarci tanto. Un tavolino minuscolo, altre donne da sole che entrano a cenare. Una bella birra, una porzione di riso e anguilla grigliata: la cena di una regina. Io non amo cenare da sola nei ristoranti, ma in Giappone non mi dispiace. Prende tutto una sfumatira molto più rilassata: si sa che nessuno importunerà, che le cameriere saranno sollecite e disponibili, che il conto non dovrà contenere nessuna acrobazia aritmetica per la mancia. Sono libera di guastare il mio cibo, di perdermi nei miei ragionamenti, di stilare il prossimo programma di viaggio. Un ambiente tranquillo e familiare, ben diverso dai ristoranti pretenziosi degli hotel in cui mi capita a volte di trovarmi nella stessa situazione: allora preferisco la cena in camera e l'atmosfera me la aggiusto da me.


Per non rientrare subito in hotel, ho preso un altro bus e sono andata in stazione. La stazione di Kyoto è uno dei miei luoghi favoriti in Giappone. Non manco mai di fotografarla, di meravigliarmi dell'arditezza architettonica, di stupirmi del capriccio di far arrampicare le scale mobili per dodici piani (fino al giardino in cima), di ammirare la Kyoto Tower che si specchia sui vetri dell'Hotel Granvia.
Avevo già notato in passato che i fidanzatini giapponesi prediligessero la stazione di Kyoto per incontrarsi. Seduti fianco a fianco sui gradini, lo sguardo perso nel vuoto, spesso senza dire una parola. Di sera, le scalinate che affiancano le scale mobili sono appena illuminate e offrono degli angoli di intimità con vista panoramica; la vibrazione sommessa delle scale mobili pare un acuto lunghissimo di qualche coro angelico; la Torre, come Narciso, ammira rapita il proprio doppio frammentato.
Ecco, mi sono detta, se avessi sedici anni (escludendo che a 48 certe cose si facciano ancora) verrei certamente qui a limonare: bacetti gentili, visto che la veemenza orale non è cosa che appartenga alla cultura giapponese in ogni senso. Ho pensato, se fossi davvero una sentimentale, qui è il posto dove porterei il mio potenziale principe azzurro: dovremmo baciarci sulla scalinata della stazione di Kyoto e solo allora avrei la certezza che si tratti di Vero Amore.
Lascio ai Fedeli Lettori il compito di elaborare il calcolo delle probabilità che io incontri dunque il suddetto V.A. Forse dovrei abbassare l'asticella alle rampe mobili della Centrale di Milano - in stazione a Bologna, no, per favore, ho ricordi troppo funerei. Se la Stazione di Amsterdam fosse finalmente ristrutturata, perchè no? Ma meglio non fare le difficili. O, peggio, le illuse.

1 commento:

Chiara ha detto...

Su, su, non siamo pessimiste...
Ad ogni modo, se ti servono scale mobili, ricorda che "noi" siamo leader di mercato nel mondo... ;)