martedì 31 maggio 2011

Discontinuità

Gli esseri umani sono creature ritmiche. Il battito del cuore, il ciclo della respirazione, il ritmo circadiano, persino i bioritmi. Per questo il tempo non è qualcosa che esiste al di fuori di noi, bensì esiste DENTRO di noi.
Non si può sfuggire al conteggio - te ne accorgi quando apri gli occhi prima che la sveglia suoni, non importa l'ora in cui l'hai puntata - quindi il senso dello scorrere delle cose è parte del nostro modo di conoscere e interpretare la realtà. Già ho scritto (http://orangeoracle.blogspot.com/2010/04/passare-al-digitale.html) che, per cercare di trovare un po' di sollievo dall'ansia che questo inevitabile passaggio di tempo ci genera, bisognerebbe passare al digitale: parcellizzare la realtà, dividerla in pacchetti e conteggiare quelli, come unità, invece che aspettarci un fluire ininterrotto del tempo, che evoca la sabbia della clessidra che si assottiglia e inesorabile sparisce nell'ampolla inferiore: game over!
Oggi ho avuto un'altra di quelle illuminazioni banali di cui mi vergogno un po', perchè davvero sono solo la celebrazione dell'ovvio, ma per qualche scherzo della memoria o del filo capriccioso dei miei ragionamenti diventano ad un tratto delle scoperte clamorose. In sintesi, per diventare migliori (nel senso più lato possibile) occorre per definizione cambiare - e i cambiamenti che altro sono, se non delle discontinuità? Improvvisi scatti verso l'alto, più che crescite analogiche impercettibili che si sommano fino ad arrivare alla soglia della riconoscibilità: e così ti dici: oh, toh, oggi mi sono svegliata e ho scoperto che notettempo sono cambiata. No, penso che a un certo punto ci sia un moto quasi stizzoso, che ci fa schizzare su un altro livello quantico. Beh, vero è che all'apparenza i due fenomeni potrebbero presentarsi identici ad un osservatore esterno, che si distragga per un po' - ma quando si tratta di noi, suvvia, c'è ben poco di simile, fra il gentile arrivo dell'alba e l'improvviso accendersi di un faro: lo sentiamo, lo capiamo e di lì traiamo le nostre conclusioni.
Quindi, la solita domanda ingenua: perchè rimaniamo così ancorati al nostro ieri, alle nostre convinzioni, alle nostre abitudini, quando per cambiare (ovviamente nell'accezione del migliorare) occorre essere discontinui rispetto al passato? cosa c'è di così vischioso nel nostro esistere, che ci intrappola negli stessi errori, nelle stesse tristezze, nelle stesse meschinità, nelle stesse cose che ci rendono infelici?
Ma è ora di andare al corso di conversazione e quindi interrompo qua.

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