domenica 8 dicembre 2013

Dipendenza grave

Una cosa che di sicuro non manca qui a Kyoto è il Kendo. Il problema degli stranieri espatriati che pensano di fare Budo dalla sera alla mattina è che una volta arrivati qui si accorgono che la cosa non è poi così semplice da realizzarsi.
Ne parlavo giusto ieri sera con Alex e Jan - il primo, neozelandese, è professore alla Kansai University, è settimo dan ed è praticamente una leggenda vivente che passa un sacco di tempo su NHK e scrive libri spiegando il Budo ai Giapponesi. L'altro, ceco, ha aperto la sua società a Tokyo e fa pratica tutti i giorni. Terzo dan, ci siamo conosciuti ancora ai tempi della trasferta che io, Livio e Valentina facemmo in quel di Praga, quando Fumi abitava ancora là. Ere geologiche fa.
Anche loro, pur consolidati ben più di me nel tessuto sociale giapponese, riconoscono che mantenere la routine di allenamento può essere duro. Gli impegni di lavoro sono prioritari su qualunque cosa, e qualcuno getta la spugna. Se poi si finisce per sposarsi e mettere su famiglia, ecco che il destino è segnato: bye bye, dojo.
Quindi io mi ritengo fortunata, perchè per quanto debba scapicollarmi sulla bici per arrivare zaino in spalla dove devo, bene o male ho potuto forzare le maglie del sistema e avere il rispetto al minuto dei miei orari di lavoro. No, non è scontato, i miei colleghi rimangono sempre dopo di me e anche se sono i primi a dirmi di mantenere l'orario, sono anche sempre seduti fino a che il Grande Capo lo è.
D'altra parte, la mia azienda non se ne farebbe nulla di me, se io smettessi di essere quello che sono: ovvero una sopravvissuta. Donne che fanno Kendo alla mia età e del mio grado non se ne vedono tante in giro - questo mi rende un po' speciale, probabilmente, e, credeteci o no, mi domando anche io come mai all'improvviso mi sia ritrovata quasi da sola fra le mie coetanee. C'era Jolanda, ma la malattia l'ha fermata. C'è Christiane, che però non è molto mobile fuori dalla Francia. Olga non la vedo da un po'. Naturalmente c'è Dido, che però è un po' più giovane di me. Le altre sono tutte fanciulline in confronto: quando arriveranno all mia età, io comincerò a vedere la prospettiva di percepire una pensione (in Olanda, perchè in Italia...).
Se faccio Kendo da 28 anni e sblisga, un motivo ci sarà. Per stare sul semplice, il Kendo dà una dannata dipendenza. E' un fatto fisico, oltre che mentale. Qui in Giappone poi puoi strafogartene senza ritegno: ieri dopo le tre ore di pratica con i Kodansha del Kansai, ho fatto un'oretta di pausa e poi due ore e mezzo di allenamento con i bambini e i ragazzini dell Yubukan, per finire con gli adulti e il maestro Miyoshi. Finito tutto ciò (neanche la possibilità di fare una doccia), una persona normale prenderebbe su i propri stracci e andrebbe a casa. Invece nell'attraversare il cortile ho sentito "rumore di Kendo" provenire dal Butokuden (notare che si fa allenamento a porte aperte, la temperatura dentro è la stessa di fuori) e sono andata a curiosare. Ho incontrato Alex e Jan e ho finito la serata con loro - parlando di Kendo (e meravigliandomi del numero di pinte di birra che riescono a bere).
Oggi mi riposo. I ragazzini mi hanno fatto di nuovo un polso rosso fuoco e nel pomeriggio vado ad Osaka ad incontrare Alessandra, nuova amica italiana che vive felice in Giappone. Tante cose da raccontare e da imparare!

2 commenti:

Unknown ha detto...

Purtroppo non ho la possibilità di mettere "mi piace" alla maniera di facebook, ma sicuramente questo post sulla dipendenza mi trova pienamente d'accordo. : )
Buon Keiko!

Francesco

Unknown ha detto...

Si, "dipendenza" è decisamente la parola esatta per descrivere il legame con il kendo di molte persone (fra le quali mi ci metto anch'io)
Buon Keiko e buon tutto!