lunedì 13 febbraio 2012

"Rivolazioni"

Sveglia alle 4,30 per il solito volo delle 6,10. Paolo mi porta al Marconi, la pista e’ bella pulita, si parte puntuali. Non riesco a dormire a bordo, certamente e’ colpa del caffe’ che mi sono fatta al bar – d’altra parte, sapendo che di caffe’ buono non ne berro’ piu’ fino alla prossima discesa in Italia, non mi perdo l’occasione. Il volo e’ tranquillo, l’aereo e’ pieno. Montatori trasfertisti, prevalentemente. Ragazzotti e brizzolati dal pesante accento bolognese, che riescono a parlare di mete lontane rendendole attraenti come la periferia di Castelmaggiore.

Ad un tratto, senza che alcunche’ faccia presagire nulla, le hostess cominciano a correre avanti e indietro, ordinando perentoriamente di raddrizzare gli schienali, di chiudere i tavoli. Un annuncio concitato dice che stiamo per invertire la rotta e tornare a Bologna e che le maschere di ossigeno potrebbero scendere. La hostess avverte i passeggeri seduti vicino alle uscite di sicurezza che potrebbe essere loro richiesto di aprire i portelli in caso di atterraggio di emergenza. Nessuno dice niente – niente panico, c’e’ una forma di impietrimento, capisco dopo. La hostess anziana ci spiega che il parabrezza dell’aereo si e’ crepato e che i piloti stanno gia’ indossando le maschere – cercheremo di fare un atterraggio di emergenza a Francoforte. Passano dieci minuti. Atterriamo. In distanza si vedono i lampeggianti dei mezzi di soccorso, ma non si avvicinano – solo un paio di ambulanze, vicino al punto in cui l’aereo si ferma. Scendiamo. Sfiliamo davanti a pilota e secondo, hanno lasciato la porta della cabina aperta, di proposito, per lasciare vedere il vetro sul punto di frantumarsi. Sono pallidi. L’hostess anziana chiede se va tutto bene. “Certo”, rispondo, e trovo il tempo per fare una foto.


Recuperiamo i bagagli, ci riproteggono su un volo che viene poi cancellato, quindi su un terzo in pesantissimo ritardo, a causa di un allarme bomba in aereoporto ad Amsterdam. Gli artificieri sono ancora dentro al Terminal 2, il Terminal 1 e’ chiuso, mi scrive la segretaria dall’ufficio. Io aspetto, e scrivo. Arrivo a casa con un ritardo di 12 ore.

Quando l’annuncio della possibile decompressione e’ stato dato, ho cominciato a riflettere. Ho guardato da dove sarebbero discese le maschere, ho tradotto l’annuncio per il signore cinese a fianco, che non parlava inglese. Ho pensato agli effetti della decompressione esplosiva e ho annotato come stessimo cercando di rallentare e di scendere di quota. Mi sono chiesta se i piloti avrebbero potuto reggere l’aereo in volo. Sarebbero bastate le cinture a tenerli al loro posto, se il parabrezza si fosse sfondato? Ho guardato la borsa fra i miei piedi e ho considerato se valesse la pena di scrivere qualcosa per qualcuno. No, niente da tramandare. A nessuno. Mi sono guardata le gambe e ho pensato alla possibile frattura di entrambi i femori all’impatto. Avrebbe fatto molto male? Ho pensato cosa sarebbe stato utile avere addosso, se fossimo riusciti ad atterrare e fossi sopravvissuta. No, niente soldi, ho messo il telefono in tasca e ho chiuso la lampo. Il passaporto, nello stivale destro. Avrebbe anche reso l’identificazione del corpo piu’ semplice, mi sono detta. Mi sono detta: potrebbe essere questo IL momento. Mi sono chiesta: vuoi pensare a qualcuno in particolare? Ho avuto una visione della mia casa olandese, vuota. Non ho sentito niente. Non un singolo moto di paura, di dolore, di rimpianto. Eccomi, mi sono detta, persino compiaciuta, sono pronta, se succede. Ho aspettato che le maschere scendessero, che i compartimenti scattassero all’unisono per rilasciarle. Non e’ avvenuto.

Mentre camminavamo lungo gli interminabili, inospitali corridoi di FRA, i miei compagni di volo commentavano ad alta voce, fra loro o al telefonino, dando tutti i particolari scatologici del caso, con l’accento bolognese ancora piu’ grasso e corporeo: decantavano la loro paura, la paragonavano a quella palpabile delle hostess. Ed io ascoltavo e ancora non riuscivo a capacitarmi dell’enorme NIENTE che avevo sentito, della sovrana indifferenza, della curiosita’, persino, di vedere come sarebbe finita...

5 commenti:

Chiara ha detto...

Commenterei con un vernacolare "porca miseria"...
Non so dire come reagirei in una situazione comparabile, dubito che sarei così imperturbabile.
Contenta che tutto sia andato bene ^_^.

LadyJack ha detto...

Com'è che non siete finiti nel Telegiornale?

Donatella ha detto...

Mi sembra che l'articolo del Carlino (con tutte le cazzate del cronista o del passeggero L.B.) sia stato più che sufficiente...
Una lettura edificante, per capire l'idiozia dei giornalisti - prego leggere anche i commenti....

http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/2012/02/14/667697-bologna-amsterdam-atterraggio-emergenza-klm.shtml

LadyJack ha detto...

In effetti l'articolo del "Carlino" è molto... da "Carlino". Già che c'eravamo però io volevo qualcosa in stile "Studio Aperto", con drammatiche interviste e lamentazioni di stile mediterraneo...
Se sull'aereo ci fossi stata anch'io, avrebbe potuto essere quel volo di cui parlammo da Clorofilla poco dopo Natale: quando io mi sarei finalmente convinta a salire con te su di un aereo, poi l'aereo (seguendo la sua naturale inclinazione non meno che la forza di gravità) sarebbe caduto, andandosi a spiaccicare da qualche parte. E noi avremmo cessato di preoccuparci del ritorno e di qualunqua altra cosa.
Dato però che io non c'ero, mi fa piacere che l'epilogo sia stato più felice.

Paolo Grazioso ha detto...

"Mentre camminavamo lungo gli interminabili, inospitali corridoi di FRA, i miei compagni di volo commentavano ad alta voce, fra loro o al telefonino, dando tutti i particolari scatologici del caso, con l’accento bolognese ancora piu’ grasso e corporeo: decantavano la loro paura, la paragonavano a quella palpabile delle hostess. Ed io ascoltavo e ancora non riuscivo a capacitarmi dell’enorme NIENTE che avevo sentito, della sovrana indifferenza, della curiosita’, persino, di vedere come sarebbe finita..."

A volte penso che tu non sia umana... Certe volte mi fai paura, lo ammetto. Ricordi il Dr. Spock di Star Trek, quello che era incapace per natura di provare emozioni...