giovedì 20 ottobre 2011

Due parole, vi prego, sull’A.


Innanzitutto, dichiaro la mia incompetenza. Non un buon inizio, lo so, ma talvolta partire da cio’ che non si sa aiuta a circoscrivere cio’ che si conosce davvero. Non so molto sull’argomento, perche’, come di consueto, io giudico le cose in base al loro risultato; se avessi saputo di che si tratta, oggi lo avrei trovato o avrei avuto i mezzi per indurlo, procurarlo, estorcerlo o persino simularlo. E invece no.

Ho pensato: forse e’ perche’ non ho saputo riconoscerlo quando ce lo avevo o quando mi e’ passato vicino. Mai che mi dica, forse non ho saputo riconoscerlo quando l’ho PROVATO.
Allora, se voglio essere scientifica, devo cercare in primis di capire la mia definizione del medesimo, per quanto ammetta che il tempo e l'esperienza di vita possano averne alterato la percezione.

Mi richiamo naturalmente a come lo avevo appreso da mia madre – non che ci sia stata una sessione di formazione specifica riguardo alla cosa (non dimentichiamo che tutto quello che so sul sesso l’ho imparato sull’Enciclopedia Motta), ma e’ ovvio che i racconti della mamma mi hanno aiutato a dipingere un certo quadro. Dunque: L’A. e’ un fenomeno che si verifica fra un soggetto (me) e possibilmente un membro attivo delle seguenti categorie:
a) Ufficiali preferibilmente in uniforme di gala
b) Distinti giovanotti di buona famiglia che diventeranno agiati professionisti
c) Eredi di fortune terriere, possibilmente dotati di titolo nobiliare, come attestato dal doppio cognome
d) Uomini privi di fortuna materiale, ma con un solido senso della famiglia e soprattutto, molto, molto belli (come papa’)

In un certo senso, il quadro di riferimento e’ chiaro. Bene. E come deve avviarsi il fenomeno suddetto? Ora, sempre seguendo gli insegnamenti impliciti della mamma, non si deve fare nulla, tranne che essere attraenti, educate e dotate di un paio di gambe belle dritte, perche’ i cosiddetti pretendenti si allineeranno alla porta, pronti per essere, a scelta non mutuamente esclusiva, scrutinati in base alle loro buone maniere, incontrati con chaperone al fianco, baciati sotto un cielo notturno solcato dai fari della contraerea, fatti sospirare sotto le finestre e infine, con ovvia conclusione, sposati.
Non e’ stato dunque semplice, con questo background, avviarsi verso un futuro di successo sentimentale. Altre vicende poi hanno solidamente impiantato nella mia coscienza il fatto che l’oggetto dell’A. non poteva che essere alto, capelluto e perfettamente rasato.

Nei racconti della mamma non c’era mai il fattore competizione: il risultato era sempre garantito, ma ho con l’esperienza capito che in una trattazione seria e completa sull’ A. non puo’ mancare il capitolo: Della conquista.
In questo tipo di gara (due femmine interessate allo stesso maschio), mi sono sempre data perdente a priori. Diciamo pure che solo fosse stata nell’aria un’ipotesi di competizione, io proprio non entravo nell’arena. Non mi batto per le ossa della polenta? No, semplicemente ho sempre nutrito una solida certezza di non avere mezzi per arrivare ad una conclusione che non fosse frustrante, umiliante e deludente. All’inizio ci pativo un po’, poi ho anche acquisito un’altra grande verita’ che per fortuna mi ha un po’ pacificato riguardo a questa totale assenza di spirito combattivo: ovvero: Non c’e’ nulla che possiamo fare per essere amati. Quindi, la conquista, in realta’, non esiste nemmeno: per quanto ci si sbatta per essere in alternativa: 1) delle grandissime gnocche 2) un po’ sciocchine con grandi occhi adoranti 3) simpaticissime brillanti divertenti di buona conversazione, non ci sono punti che si possano guadagnare, perche’ l’A. avviene per puro caso. Come uno tsunami si abbatte su una costa ignara, ecco che qualcuno si incapriccia di qualcun altro, segue una serie di contrattazioni piu’ o meno esplicite (credo si chiami corteggiamento) e se la vittima (volevo dire l’oggetto del desiderio) si sente sufficientemente in sinc, ecco che succede qualcosa. Mai che succeda che due tsunami si verifichino contemporaneamente, non venitemela a raccontare.

E cosi’, se mai qualcuno in eccezionali occasioni ha catturato il mio interesse, raramente la cosa è stata ricambiata in termini comparabili, per contro, se mai qualcuno è stato interessato a me... beh, diciamo che negli ultimi anni le tipologie di corteggiamento hanno preso dei twist piuttosto inquietanti.
In primis, devo ammettere la mia sordita’. Gia’ stento ad accorgermi se qualcuno ci sta provando (casi eclatanti me lo hanno dimostrato). Probabilmente l’assenza dei fari della contraerea a fendere il cielo mi disorienta un po’: vedete come la formazione di base puo’ incidere?
In secundis, il gioco non rispetta piu’ le regole: io libero, tu libera, magari mettiamo su qualcosa?
Macche’: io sposato ma infelicemente, con amante fissa, ma con qualche slot disponibile, interessa?
O anche: io sposato, tanto innamorato della mia mogliettina, che stranamente non me la vuole piu’ dare, se magari...?
Oppure, io single con figlio ma a mia volta figlio di divorziati scioccato dagli eventi dell’ infanzia che quindi si sente autorizzato ad esibire tutte le forme di deficit emotivo descritte dalla psicoanalisi, si combina?
Ancora meglio: io sposato sempre infelicemente (ma tutto sommato io e mia moglie siamo amici...) con un sacco di relazioni piu’ o meno superficiali, ma pure con l’amichetta che potrebbe diventare un legame fisso, ma fino ad allora, che ne dici?
La serie potrebbe proseguire, ma mi fermo qui.
Io sono single, posso fare quello che voglio, ho potenzialmente disponibilità illimitata, sentimentalmente parlando: ma pare che l’unica cosa che interessi di me a costoro sia privarmi proprio della mia liberta’, senza un'ombra di scrupolo: togliermela, sfilarmela dalle mani, come se la potessero prendere loro che non ce l’hanno (e che non hanno il coraggio di prendersela, per stare con me), tenendomi attaccata ad un gioco frustrante di so e non so, di mi piacerebbe ma non posso, di mi piaci molto ma manca l’alchimia, di quattro passi appassionatamente avanti e cinque passi di corsa indietro. Forse sono una ragazza troppo paziente. O forse con una soglia del dolore pericolosamente alta. Forse dovrei imparare a dire qualche vaffanculo in piu’, senza farmi tante domande sulla serietà dei sentimenti altrui.

In passato mi domandavo cosa avevo di sbagliato io. Adesso non me lo chiedo piu’, anche perche mi sono resa conto che tutto sommato sono molto piu’ normale io di tanti altri stramazzati dalle scelte di vita di cui ora si pentono e che cercano di rimediare senza stare tanto a guardare dove mettono i piedi. In piu’, ho proprio la coscienza a posto – io non sono mai andata a cercare nessuno per fare le cose tanto per fare, chissenefrega se qualcuno ci rimette la serenita’. Inoltre, dal momento che l’A. colpisce a casaccio, potrei avere un’alta probabilita’ che qualcuno mi venga a cercare con un po’ piu’ di rispetto delle mie condizioni (one on one e ci si ferma li’ finchè dura, tanto per dire la piu’ importante), invece che cercare di proporre di frodo le proprie.
Visto che finora il numero sulla mia ruota non e’ uscito, hai visto mai che succeda domani?

3 commenti:

LadyJack ha detto...

Nel leggere questo impegnativo testo (a partire dal titolo "A.", che vorrebbe dire ma non dice ed allude) qualunque freudiano che si rispetti avrà sicuramente un orgasmo estatico.
Da un punto di vista più terra-terra (quello di un'amica, tanto per fare un esempio) le stesse righe fanno invece un altro effetto: fanno pensare che l'ottimismo non è il nostro forte... ma anche che l'ottimismo non ha mai fatto niente per farsi forte con noi. Alla prossima vita... forse.

Paolo Grazioso ha detto...

Minchia Donatella, alla faccia delle due parole. Ho provato a leggere ma non riesco a stare concentrato così a lungo. Non con i colleghi che mi riempiono di richieste e le mail che arrivano come se piovesse...

Donatella ha detto...

Paolino, non ti sforzare, probabilmente non è un argomento che ti interessa tanto....