giovedì 15 aprile 2010

Essere normali

Non so a quanti capiti di oscillare, come me, fra il desiderio di essere normali e il bisogno di essere estranei. Per essere estranei intendo quello stato di infinite potenzialita’ che ti offre un nuovo inizio, come cambiare citta’ o lavoro o nazione. Si passa una spugna su tutto quello che non si vuole essere o non si vuole avere, ci si ritrova incastonati in un mondo diverso – non per questo ostile, anzi. In questo senso, l’ estraneita’ e’ un modo di revisionare se’ stessi, di riorganizzare le proprie emozioni, di rivedere le proprie strategie di vita. Non appartenendo, si puo’ decidere a cosa appartenere. Ripetendo il processo piu’ volte forse si riesce a capire veramente chi si e’ – come se un attore, attraverso l’ interpretazione di ruoli diversi, potesse intuire i tratti della propria personalita’ e fare dell’ íntrospezione pur mettendo tutto se’ stesso su un nuovo palcoscenico.
Si’ , essere estranea mi piace. I nuovi inizi sono eccitanti. E vedere come ogni volta affronto la sfida di un nuovo mondo mi pare un esercizio interessante.
Comunque sia, la normalita’ esercita una fascinazione enorme. In questi giorni in cui la vita cosiddetta normale mi sta riabbracciando, ho dei momenti di pura delizia, ben oltre la normale contentezza che deriva da una giornata ben spesa. Dopo mesi di disoccupazione (che peraltro non mi sono pesati come immaginavo), sono tornata a fare parte del mondo produttivo. Cammino fra la gente in stazione, aspetto il mio treno, degusto le mie nuove abitudini come se fossero prelibatezze rare. Ho un ufficio al quattordicesimo piano(non granche’ per ora, sara’ meglio ad Amsterdam da settembre) e colleghi amichevoli. La lista dei compleanni e’ pubblicata nell’ angolo del caffe’ e per tutti c’ e’ una celebrazione. Esseri umani, di nuovo! Dopo il lavoro remoto, dopo le spiacevoli subumanita’ degli ultimi tempi in Italia, ho di nuovo dei colleghi! Appartengo! La mia azienda costruisce cose meravigliose – persino quelle che sono andata a visitare per pura ammirazione: ingegneria poetica o poesia ingegneristica.
E il lavoro riverbera la sua calda luce anche sulla mia vita privata. Continuero’ a lavorare in giardino, continuero’ a comprare i fiori al mercato del sabato, continuero’ a fare la spesa in bici – ma lo faro’ non piu’da estranea, ma da persona normale. Un piacere sottile, ma squisito. Per ora.

1 commento:

Ace ha detto...

Right. It's the story della proa del vaporetto e l'uomo in capote in traghetto. Quando s'arrive la prima volte a Venezia, dalla stazione sede in proa del vaporetto con la bocca aperta in tutto delizia, gaping at the wonders, with a blissy smile. When the traghetto goes by (not without curses from the vaporetto captain and replies from i traghettieri) vedi l'uomo d'affari in piedi con cellulino all'orrechia, cercando di combinare qualcosa, e tutto tutto cieco alla belleza intorno. "Ha, poverino," pensi....Dopo sei settimane, quando in capote stai in traghetto con cellulino, cercando a combinare qualcosa d'affari, si capita che guarda su e vedi un turista giapponese in bliss colla bocca aperta alla proa del vaporetto -- "Eh, poverino," ti pensi....humans, all animals, get saturated to repeated stimuli -- a neurological fact -- and it always feels good to Shake It Up. (You-all will perdonare my Italianish Engliano....)