Sono mostruosamente orgogliosa di me.
Sveglia presto, colazione senza salsiccie e via, verso The Strand. Il cielo è coperto, ma non piove - io sono impermeabile persino nei pensieri, non mi spaventa niente.
Cammino di buon passo per un'ora. Intorno, nessuno: rocce coperte di felci e di mughi, l'incessante scorrere dell'acqua color Guinness nei fossi a lato della strada. Caprifogli, orchidee, cardi. A tratti pioviggina, ma con la mia incrollabile fede dei miei scarponi nuovi non mi lascio intimidire. Mi passano un paio di ciclisti, che troverò alla fine della strada.
E quando dico fine, intendo proprio fine: la strada si ferma sulla spiaggia, anzi sullo spiaggione che via via si allarga e si allunga. Il minimo della marea lo si raggiungerà alle 10,30, mi ha detto l'omone dell'Ufficio Postale, giù al molo. Sono le 10, intanto comincio a cercare un punto più asciutto per cominciare la traversata del Grande Fango. I ciclisti spariscono, sono sola in una immensità lucida come uno specchio. Gli scarponi sembrano prendere bene il dito di acqua che comunque rimane sulla sabbia, cammino cammino andando verso Oronsay, l'isola gemella di Colonsay, praticamente disabitata, a parte 5 residenti che lavorano per la Reale Società per la Protezione degli Uccelli. Desidero vederla perchè è lì e perchè su Oronsay si trovano le rovine di una vecchia abbazia. Cammino cammino, stando attenta a non sollevare l'acqua e a non distrarmi finendo dove è un pochino più profonda.
Sono a poche decine di metri dalla riva rocciosa di Oronsay e le cose si complicano. La marea si è sì ritirata, ma giusto davanti alla meta scorre un torrentello di acqua più veloce e più profonda. Cerco di negoziare l'ostacolo arrampicandomi su alcuni scogli, ma non c'è verso. Sono prudentissima sulle rocce e le alghe, ma dovunque mi giri, l'acqua più alta continua a separarmi da Oronsay. Sto cominciando a meditare la ritirata attraverso le sabbie, quando vedo una coppia di viandanti che sembra intenta in distanza a cercare un passaggio come me. Hanno addosso dei bei Wellington boots, non dovrebbero avere paura di niente, ma quando mi passano accanto mi salutano e mi chiedono se per caso io stesso tornando da Oronsay: anche loro non sono molto convinti del guado. Fra l'altro ricordiamo di esserci visto soltanto ieri nel caffè di Colonsay House: siamo praticamente amici. Uniamo le forze e forse individuamo un passaggio... ma va bene per i loro stivali d gomma, per me è ancora troppo profondo. Quando sono sul punto di rinunciare, anche per non trattenere loro, la signora si offre di traghettarmi a cavalluccio: momento imbarazzante, ma accetto e con passo molto cauto arriviamo su terreno un po' più alto. Sembra fatta, ma invece un'altra corrente veloce si para fra noi e l'isola. Di nuovo, sconforto. Che faccio, mi butto? i miei scarponi rimarranno bagnati per giorni... a quel punto ci raggiunge un'altra coppia (con cani) - anche loro erano a Colonsay House, anzi, abbiamo anche conversato (mi hanno attribuito per l'ennesima volta un accento scandinavo). Il marito ha scarponi come i miei, la moglie si butta e si ammolla calze e scarpe, lui si ferma e comincia a togliersi tutto: ecco la soluzione! l'acqua non è proprio calda, ma peggio di tutto sono i dannati sassetti - ma stringo i denti e fra un oh ed un ih mi trovo dall'altra parte, dove vengo accolta da un'ovazione: sono contenta di non aver fatto sprecare la prestazione da San Cristoforo alla signora gentile !
Proseguiamo in cinque (più due cani) lungo la strada: arriviamo a The Priory, dopo una discreta camminata. Doveva essere un centro religioso importante, a giudicare dalle pietre tombali e dalla architettura residua. In fondo, San Columba dovette arrivare prima qui, per poi accorgersi che vedeva ancora la sua Irlanda di origine e decidere di spostarsi fino a Iona (come i santi rematori...)
Finita a visita, ci avviamo al ritorno: bisogna anticipare la marea crescente e, anche se di tempo ce n'è, vista l'esperienza fatta è più prudente non perdersi in chiacchiere.
Fortunatamente la marea è ancora calata e i signori che sono con me (la coppia con i cani preferisce prendere una via alternativa e andare in esplorazione) non solo se la camminano con me fino a toccare di nuovo Colonsay, ma anche mi offrono un passaggio fino in hotel (loro alloggiano in un croft di amici a Lower Kilchattan). Sappiamo comunque che ci ritroveremo, tutti e cinque e i due cani, sul traghetto, domani sera.
Un altro obiettivo centrato – ho tempo per riposarmi in camera, mangiare un boccone e poi uscire di nuovo dopo aver scaricato le foto e visto un pochino di Open in televisione.
Una passeggiata breve, ma il cielo si è schiarito, splende il sole e l'isola acquista tutto un altro colore! Mi arrampico fino all'obelisco, scendo al molo, risalgo dall'altro versante: il mare è bellissimo, il cielo terso, bisognerebbe ripartire, ma io decido di farmi una cenetta con i fiocchi.
Moo (il cui motto è: Siamo qui solo una volta) è ripartita con la figlia e la guida alle 12. Un elicottero (!!!) doveva venirle a recuperare e a portarle fino ad Edimburgo. Ieri sera a cena la avevo vista mangiare le ostriche con qualche generosa goccia di tabasco e le avevo promesso che avrei provato stasera (ieri non ero in vena). Devo dire che l'esperienza mi ha piacevolmente sorpreso: invece che una ne ho mangiate tre (su sei) con tre gocce di tabasco, mi sento proprio di consigliarle !
Mentre proseguivo la mia cena con un bel bisteccone scozzese e una pallettona di gelato al miele locale (sublime), ho pensato cose che definirei illuminanti. Sarà stata la mezza pinta di sidro di aperitivo o il Merlot cileno della cena, fatto sta che sono riuscita ad articolare un pensiero che mi frullava in testa da un po', ma in una forma vaga e inesprimibile. Ora so cosa voglio fare (o, meglio, cosa sto già facendo): è da capire se sto solo razionalizzando con abilità un capriccio o se davvero ho un game plan credibile.
Chi vivrà, vedrà. O, come dice Moo, tutto sommato siamo qui solo una volta...
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