Seduta sul mio sofà, la finestra è aperta sul giardino. Lo spicchio di cielo che vedo da qui è azzurro, c'è un bel sole, il vento agita con garbo i rami degli alberi dietro casa.
Sono tornata da Dubai, mi sono calata di nuovo nella mia vita olandese: la spesa da Jumbo, le valigie da disfare, la partita di golf (la prima VERA) con Siobhan, la gestione delle pratiche quotidiane. Stasera viene Marseda da Rotterdam, ci faremo un sacco di chiacchiere e di risate.
Il viaggio scozzese incombe: penso alle nuove valigie da fare, mi preoccupo delle inondazioni nell'Inghilterra del nord, ma tutto sommato sono entusiasta all'idea di questa strana avventura.
Dubai continua a occupare la mia mente. A gennaio ne avevo visto l'aspetto più spettacolare, questa volta ho potuto vedere l'aspetto business e ho potuto dare un po' più di spessore all'idea che me ne ero fatta.
Confermo il fatto che sia un luogo straordinario, che vale la pena di visitare, per il gusto dello spettacolo. Un luogo esuberante e nato per attirare con la propria unicità e la propria offerta di opportunità di lavoro ad altissimo livello (specialmente se si lavora in ambito finanziario o, come noi, nelle costruzioni).
Ma questa volta ne ho afferrato l'incredibile fragilità: questo è un paese che nel giro di una settimana ha dimezzato la propria popolazione, quando la crisi ha colpito duro nel 2009: la gente lasciava Dubai abbandonando le auto all'aeroporto, come se stesse abbandonando una nave che affondava.
Non ci sono anziani, a Dubai: nessuno viene per invecchiare, tantomeno il governo garantisce un permesso di soggiorno a chi non lavora o a chi non investe. Le aziende non hanno impiegati di nazionalità dubaita: gli emirati qui svolgono solo il ruolo di sponsor (e per questo percepiscono un compenso) per chi intente impiantare un'azienda, ma non sono mai impegnati attivamente. Gli abitanti di nazionalità emirati sono solo un misero 10% della popolazione - e certamente non insegnano ai loro figli l'etica del lavoro, per quanto ne curino l'educazione. Il lavoro sembra essere un fastidio riservato agli espatriati, al 90% che domani se ne potrebbe andare al primo accenno di crisi.
Il mercato immobiliare si nutre di sè stesso, è una bolla che vive di speranza. Il mercato finanziario è quello che è, a livello globale: nulla su cui fare gran affidamento. Le Free zones attirano aziende che "producono" beni: i componenti arrivano, vengano assemblati e ri-esportati, senza che vengano pagate tasse ed utilizzando manodopera a baso costo. Ma nulla rimane in loco.
Dubai è costruita sulla sabbia, in più di un senso: è un fiore fragilissimo. Con tutta la sua architettura straordinaria, rimane un luogo ad alta manutenzione, garantita dalle masse di lavoratori a basso costo che vengono da India, Pakistan, Bangladesh, Filippine. Gli occidentali se la passano certamente meglio, ma non mettono radici, anche se ci vivono e prosperano, rimangono sempre distanti e pronti alla fuga.
Sono contenta di esserci stata ora. Fra un decennio, chissà? la sabbia potrebbe di nuovo invadere le strade a sei corsie, ricoprire i vetri luccicanti dei grattacieli, inaridire le aiuole fiorite, colmare le vasche delle fontane e delle piscine e ridare a questo angolo di deserto il colore dell'ocra e il silenzio della desolatezza.
Sono tornata da Dubai, mi sono calata di nuovo nella mia vita olandese: la spesa da Jumbo, le valigie da disfare, la partita di golf (la prima VERA) con Siobhan, la gestione delle pratiche quotidiane. Stasera viene Marseda da Rotterdam, ci faremo un sacco di chiacchiere e di risate.
Il viaggio scozzese incombe: penso alle nuove valigie da fare, mi preoccupo delle inondazioni nell'Inghilterra del nord, ma tutto sommato sono entusiasta all'idea di questa strana avventura.
Dubai continua a occupare la mia mente. A gennaio ne avevo visto l'aspetto più spettacolare, questa volta ho potuto vedere l'aspetto business e ho potuto dare un po' più di spessore all'idea che me ne ero fatta.
Confermo il fatto che sia un luogo straordinario, che vale la pena di visitare, per il gusto dello spettacolo. Un luogo esuberante e nato per attirare con la propria unicità e la propria offerta di opportunità di lavoro ad altissimo livello (specialmente se si lavora in ambito finanziario o, come noi, nelle costruzioni).
Ma questa volta ne ho afferrato l'incredibile fragilità: questo è un paese che nel giro di una settimana ha dimezzato la propria popolazione, quando la crisi ha colpito duro nel 2009: la gente lasciava Dubai abbandonando le auto all'aeroporto, come se stesse abbandonando una nave che affondava.
Non ci sono anziani, a Dubai: nessuno viene per invecchiare, tantomeno il governo garantisce un permesso di soggiorno a chi non lavora o a chi non investe. Le aziende non hanno impiegati di nazionalità dubaita: gli emirati qui svolgono solo il ruolo di sponsor (e per questo percepiscono un compenso) per chi intente impiantare un'azienda, ma non sono mai impegnati attivamente. Gli abitanti di nazionalità emirati sono solo un misero 10% della popolazione - e certamente non insegnano ai loro figli l'etica del lavoro, per quanto ne curino l'educazione. Il lavoro sembra essere un fastidio riservato agli espatriati, al 90% che domani se ne potrebbe andare al primo accenno di crisi.
Il mercato immobiliare si nutre di sè stesso, è una bolla che vive di speranza. Il mercato finanziario è quello che è, a livello globale: nulla su cui fare gran affidamento. Le Free zones attirano aziende che "producono" beni: i componenti arrivano, vengano assemblati e ri-esportati, senza che vengano pagate tasse ed utilizzando manodopera a baso costo. Ma nulla rimane in loco.
Dubai è costruita sulla sabbia, in più di un senso: è un fiore fragilissimo. Con tutta la sua architettura straordinaria, rimane un luogo ad alta manutenzione, garantita dalle masse di lavoratori a basso costo che vengono da India, Pakistan, Bangladesh, Filippine. Gli occidentali se la passano certamente meglio, ma non mettono radici, anche se ci vivono e prosperano, rimangono sempre distanti e pronti alla fuga.
Sono contenta di esserci stata ora. Fra un decennio, chissà? la sabbia potrebbe di nuovo invadere le strade a sei corsie, ricoprire i vetri luccicanti dei grattacieli, inaridire le aiuole fiorite, colmare le vasche delle fontane e delle piscine e ridare a questo angolo di deserto il colore dell'ocra e il silenzio della desolatezza.
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