Lunedì Giuseppe deve andare ad Abu Dhabi per lavoro e si propone di accompagnarmi, lasciarmi girovagare per la citta’ e poi riportarmi a casa. Non chiedo di meglio – e Adriana mi invia pure un sms con l’elenco delle cose imperdibili. Ci fermiamo all’ufficio di Guseppe per raccogliere il casco che gli serve in cantiere – dalla sua finestra si vede l’Emirates Golf Club, ma a questo giro non sara’ per me...
Prima tappa: Emirates Palace; un altro hotel dalle sale immense e dalle colonne ricoperte d’oro... ormai tutto questo lusso sovrabbondante comincia a soffocarmi... e allora scendo le scale, attirata come una falena dalla vista della spiaggia e del mare. Ho camminato a piedi nudi per almeno una mezzora, poi sono tornata all’hotel, attraversando il giardino, ho preso un taxi e sono andata al Marina Mall. Un centruzzo modesto, per gli standard dubaiti. Ho pranzato da Galler, che conoscevo per il negozio sulla Grand Place a Bruxelles: qui diventa ristorante e caffe’, oltre che maitre chocolatier. Fish and Chips e una fetta di All Chocolate cake. Rinfrancante, a dir poco. Dalla Marina mi sono fatta portare alla Grande Moschea.
Assolutamente da vedere: un monumentale edificio di marmo bianchissimo – si puo’ entrare anche essendo infedeli, ma le donne devono paludarsi da Belfagor, con camicione fino ai piedi (e oltre, nel mio caso) e velo nero sui capelli. Una esperienza gia’ di per se’...
Di nuovo, il decoro e le dimensioni sono sovrumane. Il grande cortile ha il pavimento di marmi bianco, ma qua e la’ ci sono enormi fiori di marmo colorato, intarsi giganteschi, che si ripropongono poi in scala minore anche all’interno. Da una Moschea e’ lecito aspettarsi tanta solennita’: lampadari smisurati, un unico enorme tappeto sul pavimento, le pareti bianche recano i 99 nomi di Allah, i capitelli sono ancora una volta dorati...
Comincio davvero a perdere il senso delle proporzioni. Non mi aiuta a ritrovarle la tappa successiva, il Yas Hotel, appollaiato sull’autodromo di Formula Uno di Abu Dhabi. Basta pagare e ti togli lo sfizio di un giro in monoposto. Un tempo sarei impazzita per un’opportunita’ del genere: oggi guardo chi ci prova, sento gli urli straziati del motore e i lamenti del cambio e mi dico: non e’ l’auto che fa il Niki Lauda.
Giuseppe viene a prendermi, passiamo di fronte al Ferrari World... un parco a tema, tutto incentrato sulla Ferrari, con tanto di roller coaster per provare l’ebbrezza della velocita’ in modo piu’ realistico che in un simulatore... ma questa gente sapra’ che le Ferrari si fanno a Maranello, Modena?
Torno in hotel, poi fuori di nuovo, per incontare Hossam, il mio ex-collega egiziano, anche lui ex-Oracle.
Da bravo egiziano (e’ lui stesso ad ammetterlo) e’ in ritardo marcio. Ma chi se ne frega, io sono in vacanza, non ho nemmeno fame e sono al Mall, dove non mancano luoghi dove oziare nell’attesa. Anzi, ne approfitto per osservare la folla. Turisti occidentali, expats, famigliuole saudite in gita di shopping (in Arabia Saudita c’e’ vacanza e quindi tutti a fare shopping a Dubai – papa’ pancione in camicione bianco, un frottarella di mogli paludate di nero, un esercito di bambini di diversa eta’), tutti colori del mondo: africani, filippini, indiani.
Quando finalmente Hossam arriva, ci sediamo nello stesso locale in cui avevo fatto colazione il primo giorno: Dal tavolo si intravvedono le fontane danzare, fuori, mentre una folla riprende con i telefonini. Le porzioni sono generosissime; chiedo una zuppa, mi arriva una vasca da bagno, Hossam ordina una tagine di pollo e ci portano carne, patate e riso per due.
Parliamo un po’ delle nostre vicende e di quanto delusi entrambi siamo rimasti da Oracle: in particolare dalla pochezza umana e manageriale dei nostri capi (e in alcuni casi, piu’ per Hossam, dei nostri colleghi). Ma io non ho intenzione di farmi il sangue amaro. Essere uscita dalla vicenda di Oracle a testa alta e’ stato uno dei grandi successi della mia vita – anche se sicuramente la fortuna ha giocato un ruolo, penso proprio di aver affrontato la cosa nel modo migliore e che mi ha lasciato i minori strascichi mentali. Mi faccio pat pat da sola sulla spalla.
Parliamo poi di Dubai e della sua strana societa’ in cui Hossam tutto sommato si trova bene: c’e’ ricchezza, c’e’ pace, ci sono opportunita’ per i suoi figli – e’ un paese musulmano, che per un osservante come Hossam e’ un fattore di non poca importanza. Ma certo lui guarda con grande interesse al suo paese di origine, l’Egitto, per cui non puo’ fare a meno di nutrire grandi speranze.
Abbiamo chiacchierato con vero piacere come ai tempi dei nostri incontri in Oracle (pochi in verita’). Ho sempre trovato Hossam una persona intelligente, cortese e sensibile, e’ stato bello rivederlo e riallacciare i rapporti de visu, oltre che grazie a Facebook.
Prima tappa: Emirates Palace; un altro hotel dalle sale immense e dalle colonne ricoperte d’oro... ormai tutto questo lusso sovrabbondante comincia a soffocarmi... e allora scendo le scale, attirata come una falena dalla vista della spiaggia e del mare. Ho camminato a piedi nudi per almeno una mezzora, poi sono tornata all’hotel, attraversando il giardino, ho preso un taxi e sono andata al Marina Mall. Un centruzzo modesto, per gli standard dubaiti. Ho pranzato da Galler, che conoscevo per il negozio sulla Grand Place a Bruxelles: qui diventa ristorante e caffe’, oltre che maitre chocolatier. Fish and Chips e una fetta di All Chocolate cake. Rinfrancante, a dir poco. Dalla Marina mi sono fatta portare alla Grande Moschea.
Assolutamente da vedere: un monumentale edificio di marmo bianchissimo – si puo’ entrare anche essendo infedeli, ma le donne devono paludarsi da Belfagor, con camicione fino ai piedi (e oltre, nel mio caso) e velo nero sui capelli. Una esperienza gia’ di per se’...
Di nuovo, il decoro e le dimensioni sono sovrumane. Il grande cortile ha il pavimento di marmi bianco, ma qua e la’ ci sono enormi fiori di marmo colorato, intarsi giganteschi, che si ripropongono poi in scala minore anche all’interno. Da una Moschea e’ lecito aspettarsi tanta solennita’: lampadari smisurati, un unico enorme tappeto sul pavimento, le pareti bianche recano i 99 nomi di Allah, i capitelli sono ancora una volta dorati...
Comincio davvero a perdere il senso delle proporzioni. Non mi aiuta a ritrovarle la tappa successiva, il Yas Hotel, appollaiato sull’autodromo di Formula Uno di Abu Dhabi. Basta pagare e ti togli lo sfizio di un giro in monoposto. Un tempo sarei impazzita per un’opportunita’ del genere: oggi guardo chi ci prova, sento gli urli straziati del motore e i lamenti del cambio e mi dico: non e’ l’auto che fa il Niki Lauda.
Torno in hotel, poi fuori di nuovo, per incontare Hossam, il mio ex-collega egiziano, anche lui ex-Oracle.
Da bravo egiziano (e’ lui stesso ad ammetterlo) e’ in ritardo marcio. Ma chi se ne frega, io sono in vacanza, non ho nemmeno fame e sono al Mall, dove non mancano luoghi dove oziare nell’attesa. Anzi, ne approfitto per osservare la folla. Turisti occidentali, expats, famigliuole saudite in gita di shopping (in Arabia Saudita c’e’ vacanza e quindi tutti a fare shopping a Dubai – papa’ pancione in camicione bianco, un frottarella di mogli paludate di nero, un esercito di bambini di diversa eta’), tutti colori del mondo: africani, filippini, indiani.
Quando finalmente Hossam arriva, ci sediamo nello stesso locale in cui avevo fatto colazione il primo giorno: Dal tavolo si intravvedono le fontane danzare, fuori, mentre una folla riprende con i telefonini. Le porzioni sono generosissime; chiedo una zuppa, mi arriva una vasca da bagno, Hossam ordina una tagine di pollo e ci portano carne, patate e riso per due.
Parliamo un po’ delle nostre vicende e di quanto delusi entrambi siamo rimasti da Oracle: in particolare dalla pochezza umana e manageriale dei nostri capi (e in alcuni casi, piu’ per Hossam, dei nostri colleghi). Ma io non ho intenzione di farmi il sangue amaro. Essere uscita dalla vicenda di Oracle a testa alta e’ stato uno dei grandi successi della mia vita – anche se sicuramente la fortuna ha giocato un ruolo, penso proprio di aver affrontato la cosa nel modo migliore e che mi ha lasciato i minori strascichi mentali. Mi faccio pat pat da sola sulla spalla.
Parliamo poi di Dubai e della sua strana societa’ in cui Hossam tutto sommato si trova bene: c’e’ ricchezza, c’e’ pace, ci sono opportunita’ per i suoi figli – e’ un paese musulmano, che per un osservante come Hossam e’ un fattore di non poca importanza. Ma certo lui guarda con grande interesse al suo paese di origine, l’Egitto, per cui non puo’ fare a meno di nutrire grandi speranze.
Abbiamo chiacchierato con vero piacere come ai tempi dei nostri incontri in Oracle (pochi in verita’). Ho sempre trovato Hossam una persona intelligente, cortese e sensibile, e’ stato bello rivederlo e riallacciare i rapporti de visu, oltre che grazie a Facebook.
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