C'e' solo nebbia fuori dai vetri, oggi. Qui al ventitresimo piano si percepisce solo un lucore diffuso, probabilmente da qualche parte la' fuori c'e' una citta', c'e' una stazione, ci sono persone che vanno in ufficio.
Anche venti anni fa ero nella nebbia. Avevo dormito poche ore ai piedi della mamma, dopo aver ricevuto la telefonata che non avrei mai voluto ricevere. Ero in una nebbia di dolore, che mi sarebbe stata intorno per almeno dieci anni, ma che in quelle prime ore mi sembrava impenetrabile.
Non avrei mai pensato che si potesse sopportare cosi' tanto dolore senza morire.
Sono passati venti anni. Dal desiderio di sfarmi nella nebbia di Milano, che tante volte avevo sentito nei mesi a seguire, mentre camminavo dall'ufficio verso casa, sono riuscita a liberarmi. Non che questo mi salvi dagli occasionali scivoloni nello stesso dolore, nello stesso inutile dibattermi alla ricerca di una risposta che non c'e'.
Mi tengo stretta i ricordi buoni di papa': di come mi tenne per una notte la mano su un orecchio per farmi sopportare l'otite, o di come mi faceva il lecca lecca di caramello quando preparava il budino di semolino. O di quando, con gli occhiali sul naso, preparava con il righello i prospetti per il condominio. O quando mi portava in bicicletta a vedere i treni passare o a vedere i cavalli di Orsi Mangelli. O quando mi aspettava in cima alle scale quando tornavo da Milano per il fine settimana, curioso di sapere come fosse il mio nuovo lavoro.
La nebbia rimane, dentro. Diventa solo piu' facile trovare a tentoni la strada per andare avanti.
Anche venti anni fa ero nella nebbia. Avevo dormito poche ore ai piedi della mamma, dopo aver ricevuto la telefonata che non avrei mai voluto ricevere. Ero in una nebbia di dolore, che mi sarebbe stata intorno per almeno dieci anni, ma che in quelle prime ore mi sembrava impenetrabile.
Non avrei mai pensato che si potesse sopportare cosi' tanto dolore senza morire.
Sono passati venti anni. Dal desiderio di sfarmi nella nebbia di Milano, che tante volte avevo sentito nei mesi a seguire, mentre camminavo dall'ufficio verso casa, sono riuscita a liberarmi. Non che questo mi salvi dagli occasionali scivoloni nello stesso dolore, nello stesso inutile dibattermi alla ricerca di una risposta che non c'e'.
Mi tengo stretta i ricordi buoni di papa': di come mi tenne per una notte la mano su un orecchio per farmi sopportare l'otite, o di come mi faceva il lecca lecca di caramello quando preparava il budino di semolino. O di quando, con gli occhiali sul naso, preparava con il righello i prospetti per il condominio. O quando mi portava in bicicletta a vedere i treni passare o a vedere i cavalli di Orsi Mangelli. O quando mi aspettava in cima alle scale quando tornavo da Milano per il fine settimana, curioso di sapere come fosse il mio nuovo lavoro.
La nebbia rimane, dentro. Diventa solo piu' facile trovare a tentoni la strada per andare avanti.
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