Ci sono ricascata.
Viziata come sono dal kendo, ho fatto il tragico errore di estendere la mia intuizione oltre i limiti della palestra e ho fallito alla grande.
Mi è capitato in passato di commentare su come, nella pratica del kendo e, più specificamente nel combattimento, sia impossibile mentire. Chiunque si mette in gioco con una shinai in mano, che lo voglia o no, scopre di sè stesso la natura più profonda. Per questo motivo il kendo è una parte così importante della vita di chi lo pratica: mette a nudo chi siamo veramente e addirittura consente di lavorare su sè stessi, invertendo la direzione del processo. Se combattendo facciamo vedere senza possibilità di inganno chi siamo, tramite la disciplina del combattimento possiamo agire e correggere il nostro carattere. E' un privilegio altissimo, a cui è difficile, se non impossibile, rinunciare.
A volte ho avvertito stridente il contrasto fra il carattere di qualcuno così come espresso nella pratica e la personalità fuori dal dojo. L'esperienza mi ha insegnato che la verità stava dal lato della pratica e chi si mostrava tanto diverso stava indossando una maschera, non visibile e concreta come il men, ma immateriale e ingannatrice, nella vita di tutti i giorni. Ho avuto evidenza di questo svariate volte ed ho imparato a fidarmi delle mie percezioni.
Purtroppo, non si può fare kendo con tutti e così, fuori dalla palestra, anche io ritorno cieca e sorda, incapace di distinguere e di evitare il malinteso. Mi rimane purtroppo la presunzione di poter "sentire" la verità, rivelata in un gesto in un momento di rilassamento o in una espressione del viso appena accennata - o nel tono di voce usato per raccontare una storia triste. Presumo che anche la vita di tutti i giorni possa rivelare, in poche occasioni sfuggenti, la vera natura delle persone. Ma mi sbaglio.
Peraltro, a quasi cinquanta anni suonati, reagisco alla mancanza di sincerità nello stesso modo in cui reagivo da bambina: anche se i modi sono diversi (non piango, non mi infurio, non corro a nascondermi), non posso fare a meno di interrogarmi con dispiaciuto stupore sul perchè le persone preferiscano essere "cattive" quando potrebbero essere "buone" - e in questo processo mi avvito.
Tuttavia, se il dubbio mi avvelena e mi rende impossibile trovare un riposo, finchè la verità non salta agli occhi (e succede, prima o poi), la improvvisa epifania della bugia agisce come un fulmine, come un improvviso tornado: in un istante la realizzazione che una persona è bugiarda cancella tutto il dramma pregresso: ecco, mi dico, adesso è chiaro: chi mente una volta, lo ha già fatto e lo farà sempre. Qualunque cosa dirà in futuro sarà inevitabilmente irrilevante, perchè la verità è assoluta: se la veneri e la rispetti, non ti viene nemmeno per un attimo la tentazione di offenderla. Se la imbratti e la neghi (e di solito non avviene in un singolo episodio o in un solo momento di temporano smarrimento), allora vuol dire che non la vedi in tutta la sua metallica integrità. Peccato, sei un bugiardo - e questa è una categoria dell'anima da cui non si esce. In un attimo, tutto il bisogno di ascoltare, di capire, semmai di aiutare, svapora nell'etere - le parole hanno perso the ring of truth.
A questo punto, i sentimenti diventano contrastanti: da un lato la scoperta della vera natura ingannatrice mi fa perdere istantaneamente interesse per la persona in questione, dall'altro il dispetto per essermi sbagliata nel giudizio mi umilia e mi ferisce. Ma come? eppure... quel gesto... quella parola... quel tono della voce... non voglio accettare di essermi SBAGLIATA.
Nel mio passato c'è stato un grande errore di valutazione nei confronti di una persona - un errore così grande che probabilmente ha completamente alterato il corso della mia vita. E' stata una lezione indimenticabile - e se anche io posso dire di essere soddisfatta di come la mia vita si è svolta anche dopo aver sbagliato così clamorosamente, l'idea di evitare lo stesso passo falso non mi abbandona mai. Si vive per imparare ed io vorrei aver imparato.
Purtroppo inciampo ancora, ma posso migliorare - e su questa fede incrollabile, che domani sarà meglio di oggi, che domani SARO' meglio di oggi, ecco che gira tutto il mio mondo. E mi dispiace per chi non può, in tutta sincerità, dire altrettanto.
Viziata come sono dal kendo, ho fatto il tragico errore di estendere la mia intuizione oltre i limiti della palestra e ho fallito alla grande.
Mi è capitato in passato di commentare su come, nella pratica del kendo e, più specificamente nel combattimento, sia impossibile mentire. Chiunque si mette in gioco con una shinai in mano, che lo voglia o no, scopre di sè stesso la natura più profonda. Per questo motivo il kendo è una parte così importante della vita di chi lo pratica: mette a nudo chi siamo veramente e addirittura consente di lavorare su sè stessi, invertendo la direzione del processo. Se combattendo facciamo vedere senza possibilità di inganno chi siamo, tramite la disciplina del combattimento possiamo agire e correggere il nostro carattere. E' un privilegio altissimo, a cui è difficile, se non impossibile, rinunciare.
A volte ho avvertito stridente il contrasto fra il carattere di qualcuno così come espresso nella pratica e la personalità fuori dal dojo. L'esperienza mi ha insegnato che la verità stava dal lato della pratica e chi si mostrava tanto diverso stava indossando una maschera, non visibile e concreta come il men, ma immateriale e ingannatrice, nella vita di tutti i giorni. Ho avuto evidenza di questo svariate volte ed ho imparato a fidarmi delle mie percezioni.
Purtroppo, non si può fare kendo con tutti e così, fuori dalla palestra, anche io ritorno cieca e sorda, incapace di distinguere e di evitare il malinteso. Mi rimane purtroppo la presunzione di poter "sentire" la verità, rivelata in un gesto in un momento di rilassamento o in una espressione del viso appena accennata - o nel tono di voce usato per raccontare una storia triste. Presumo che anche la vita di tutti i giorni possa rivelare, in poche occasioni sfuggenti, la vera natura delle persone. Ma mi sbaglio.
Peraltro, a quasi cinquanta anni suonati, reagisco alla mancanza di sincerità nello stesso modo in cui reagivo da bambina: anche se i modi sono diversi (non piango, non mi infurio, non corro a nascondermi), non posso fare a meno di interrogarmi con dispiaciuto stupore sul perchè le persone preferiscano essere "cattive" quando potrebbero essere "buone" - e in questo processo mi avvito.
Tuttavia, se il dubbio mi avvelena e mi rende impossibile trovare un riposo, finchè la verità non salta agli occhi (e succede, prima o poi), la improvvisa epifania della bugia agisce come un fulmine, come un improvviso tornado: in un istante la realizzazione che una persona è bugiarda cancella tutto il dramma pregresso: ecco, mi dico, adesso è chiaro: chi mente una volta, lo ha già fatto e lo farà sempre. Qualunque cosa dirà in futuro sarà inevitabilmente irrilevante, perchè la verità è assoluta: se la veneri e la rispetti, non ti viene nemmeno per un attimo la tentazione di offenderla. Se la imbratti e la neghi (e di solito non avviene in un singolo episodio o in un solo momento di temporano smarrimento), allora vuol dire che non la vedi in tutta la sua metallica integrità. Peccato, sei un bugiardo - e questa è una categoria dell'anima da cui non si esce. In un attimo, tutto il bisogno di ascoltare, di capire, semmai di aiutare, svapora nell'etere - le parole hanno perso the ring of truth.
A questo punto, i sentimenti diventano contrastanti: da un lato la scoperta della vera natura ingannatrice mi fa perdere istantaneamente interesse per la persona in questione, dall'altro il dispetto per essermi sbagliata nel giudizio mi umilia e mi ferisce. Ma come? eppure... quel gesto... quella parola... quel tono della voce... non voglio accettare di essermi SBAGLIATA.
Nel mio passato c'è stato un grande errore di valutazione nei confronti di una persona - un errore così grande che probabilmente ha completamente alterato il corso della mia vita. E' stata una lezione indimenticabile - e se anche io posso dire di essere soddisfatta di come la mia vita si è svolta anche dopo aver sbagliato così clamorosamente, l'idea di evitare lo stesso passo falso non mi abbandona mai. Si vive per imparare ed io vorrei aver imparato.
Purtroppo inciampo ancora, ma posso migliorare - e su questa fede incrollabile, che domani sarà meglio di oggi, che domani SARO' meglio di oggi, ecco che gira tutto il mio mondo. E mi dispiace per chi non può, in tutta sincerità, dire altrettanto.
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