martedì 30 agosto 2011
La leggenda di Bagger Vance
Ho finito il libro che soltanto venerdì sera un amico mi ha gentilmente prestato. Non è l'unico che mi ha proposto, ma è stato il primo che mi ha subito ispirato. Già conoscevo il film tratto dal romanzo, che avevo visto con piacere, ma senza un vero interesse - di fatto non avevo colto allora né il sottile gioco di parole nascosto nei nomi dei protagonisti, né la (folle) similitudine fra la storia del film e la storia di ben altro libro. In questi tempi bizzarri (non necessariamente i più felici per me), gli eventi del romanzo mi hanno colpito particolarmente, tanto da non consentirmi di posare il libro prima di aver finito.
Di fatto, il motivo di tanta avidità di lettura è la fortunata (insospettabile? delirante? presuntuosa?) congiunzione che l'autore (Steven Pressfield) opera fra una mia passione vecchia ed una nuova: le definisco entrambe passioni per quanto il peso specifico differisca di svariati ordini di grandezza. L'impavido (insensato? illuminato?) Autore si permette di rivisitare nientepopodimenoche gli eventi della Baghavad Gita (che tanto mi aveva interessato e coinvolto più o meno all'inizio della mia vita di universitaria) collocandoli in un'altra era... su un campo da golf! La battaglia di Kurukshetra, destinata ad annientare l'umanità, per consentire alla civiltà di rinascere nella luce del Dharma, trasformata in una partita su 36 buche, fra tre giocatori - due tratti dalla realtà storica, uno fittizio. Beh, di coraggio ce ne vuole. La Gita, testo sacro estratto dal meraviglioso Mahabharata, mi aveva accompagnato per mesi, se non anni, quando tutte le mattine Radio Krishna Centrale mi svegliava. Trattandosi di un testo fondante dell'induismo, non potevo non rimanerne catturata - e quelle mattine passate ad ascoltare mi tornarono ben utili poi per la mia seconda carriera universitaria: in generale però, il testo portava un messaggio straordinario.
Ognuno di noi ha una parte da svolgere nell'infinito gioco dell'universo, un ruolo che ci sostanzia e ci giustifica persino oltre la nostra stessa volontà (o mancanza della stessa!). Essere giusti, seguire il Dharma, significa dunque giocare la nostra parte di gioco, secondo le regole, per realizzarne l'inevitabile, immutabile, incessante esito. In un universo ciclico, come quello indiano, il Guerriero deve fare il Guerriero, non importa quale sia il suo senso morale o la sua sensibilità del momento - ciò che è giusto è la corretta interpretazione del proprio dovere: combattere, uccidere, distruggere l'avversario. Nella Gita, Krishna, Bhagavan, l'Essere Supremo, si presta a giocare il ruolo dell'Auriga per il Guerriero Arjuna, che, disperato al pensiero dell'imminente battaglia che lo opporrà a tanti dei suoi parenti, ha perso le forze e il coraggio. Mostrandosi in tutta la sua gloria, Krishna risveglia in Arjuna la consapevolezza del proprio dovere e gli instilla il giusto distacco dal risultato delle proprie azioni.
E tutto ciò, con il golf? Pressfield è un folle brillante, che mette Bagger Vance (o Bhagavan) nei panni del caddie di R. Junah (Arjuna) nel corso di una partita a dir poco epica. Ripeto, non so se tanta sfrontatezza sia geniale o semplicemente delirante, fatto sta che il libro mi ha fatto desiderare di riprendere la Gita in mano (la Donamat approverà di sicuro) e di acchiappare la sacca, ora che il sole è di nuovo spuntato, e correre al campo per cercare l'Autentico Swing - che non si può imparare, ma solo ricordare, perchè esiste prima di noi, è sempre esistito ed esisterà per sempre.
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1 commento:
Tra il genio e il delirio, io opterei per il delirio. Però il libro non l'ho letto e quindi non si può mai dire.
Un po' di saggezza indiana non mi sarebbe superflua, in questi giorni. Ecco cosa mi manca: Krishna!
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