Ultimamente mi trovo a fare dei bilanci. Non sono più giovane, ho passato parecchie soglie – momenti in cui ti rendi conto che certe scelte sono irreversibili: che so, come diventare madre o diventare miliardaria. Quando ero giovane dicevo che il mio ideale era Marisa Bellisario: diventare amministratore delegato e poi morire. Non sono diventata amministratore delegato e anche sul morire ho capito che ho poche opzioni sul fatto di farlo quando voglio io. Non essendo depressa, non essendo suicidale e non essendo il grande Maestro Bhima del Mahabharata, non potrò scegliere il momento della mia morte e quindi devo cercare le mie piccole strategie per la parte di vita che invece ho ancora davanti, lunga o breve che sia.
Oggi ho creduto di avere una illuminazione in merito. Da giovane, il mondo era un fluire, un continuo crescere e imparare. Una lunga continua ascesa, da scuola a scuola e poi da lavoro a lavoro, ogni volta guadagnando posizioni in una ipotetica scalata. Ma poi arriva un momento in cui ti rendi conto che non c’è un percorso da seguire, non un’armoniosa scivolata attraverso gli anni. Esistono piuttosto momenti di grandi angoscia e momenti di sollievo e in realtà il tessuto stesso della realtà non ha affatto la continuità rassicurante che credevo di riconoscere nei primi anni. Già il momento della mia nascita alla vita conscia è stato un salto improvviso, come svegliarsi all’improvviso in un nuovo mondo (ricordo bene la data, 1° agosto 1976). Adesso so che il cervello degli adolescenti passa attraverso trasformazioni drammatiche – e sicuramente in una qualche parte del mio cerebro quel giorno deve essere spuntata una nuova protuberanza, come uno dei funghi di Marcovaldo, e voilà, una nuova Donatella è nata. Poi ci sono le delusioni riguardo agli esseri umani – come delle fratture improvvise. O la realizzazione della propria mortalità, come un voce che chiaramente ti parla e ti apre gli occhi.
Quindi ho cominciato a pensare che il modello giusto per gli esseri umani non è quello analogico, del flusso modulato di eventi, bensì quello digitale, del alternanza netta di bianco e nero. Di conseguenza, così come ci sono momenti che definiscono le discontinuità e spesso i traumi, bisognerebbe imparare a separare in particelle anche il bello che ci sta intorno. Che so, il bel sole alla fermata dell’autobus, vale un bit. Le facce contente dei miei studenti oggi al Campionato, un intero byte. Le battute migliori di Bridget Jones, che ho rivisto stasera: svariati bytes. E così via. Rifiutando la continuità analogica, che ci porta sulle montagne russe e ci sottopone a stress più grandi perché pasciuti dal senso di anticipazione, ci focalizziamo su parcelle di eventi piccoli a piacere, ma belli, rassicuranti, enucleati, ma indubitabilmente positivi. Passiamo al digitale. Zero e uno. E magari il conteggio degli uno potrebbe essere per una volta a nostro favore
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Hmm...sounds like Wisdom. At least about the revision of one's expectations as one grows older -- yeah, it definitely stops being a Glide. As to the digital, or I would say the discrete, nature of experience, well, that is to some extent a choice, because, comma, people integrate those bits, or not, in modi molti diversi -- modi che, nella maggiore parte dei casi, che imparono, dai genitori, dalla communità. Alcune volte, però, si trova una persona chi ha, hmm, worked out his own integration -- and then there are those who reject (these people tend to be crazy more or less) any integration at all -- a characteristic disease of the 20th century -- what my French teacher would sadly call, talking about my grasp of French grammar, "fragments mentale." eh, avanti, sempre avanti.
Posta un commento