Oh, questo è un argomento difficile. La Legge del Consulente recita: “Quello che si sa, si sa. Quello che non si sa, si inventa”. Nel caso degli uomini olandesi, beh, devo proprio inventare. Dopo più di due anni qui, quello che so degli uomini olandesi è soprattutto basato su quello che ho letto sui libri di testo (sì, quelli di scuola) perché devo ammettere di averne avvicinati davvero pochi. Oddio, pochi che considero “uomini”. Mi spiego.
Prendiamo i miei studenti di kendo: splendidi esemplari: divertenti, molto istruiti, intelligenti, rispettosi, indipendenti (per niente bamboccioni, voglio dire). Sono tutti pronti a viaggiare, a fare esperienze di studio e di vita all’estero. Tutti purtroppo troppo giovani perché li possa considerare “uomini”. Potrebbero essere miei nipoti o miei figli – e ne sarei sicuramente molto orgogliosa.
Chi altro? I miei compagni di palestra di Amsterdam? Di età già più compatibile (ma appena appena), simpatici, corretti, qualcuno di bell’aspetto. Ma la domanda sorge spontanea (come era stato per i tedeschi ai tempi in cui abitavo a Ruesselsheim): come si riproducono gli Olandesi? Certamente lo fanno, perché sono pieni di figli (comparati agli Italiani, sono veri conigli) – ma il procedimento in base al quale l’attrazione (anche quella brutalmente fisica) si esprime e si trasforma in comunicazione e poi in “finchè morte non ci separi”, mi è totalmente trasparente. Come mi ha competentemente spiegato Haraald, il mio professore di olandese, che canta l’opera da tenore, “gli uomini olandesi non sono Don Giovanni”. E accidenti, questo è chiaro! Mi manca certamente la sensibilità – già gli eccessi fin troppo espressivi dei maschi italiani tendono ad ottundere i recettori del corteggiamento, poi io sono sorda come una campana già di mio: probabilmente avrei bisogno di una lettera raccomandata per capire che mi si stanno mandando dei segnali. E quando questo succede, se per caso me ne accorgo, al 90% mi offendo: ma come ti permetti? Ma ti sei visto allo specchio? Sono ridotta così male che un relitto/un idiota/un tappetto come te può sperare che io lo fili? Ora, posso anche essere stata sfortunata, ultimamente, ma, cavolo, il piatto piange! Quindi, che cosa mai sperare qui in Olanda, dove sono così abbottonati ed indifferenti (almeno in apparenza)? Mmm, non voglio rispondermi…
Ma vediamo il modello dell’Olandese di età compatibile che si vede girare per strada: ok, ignoriamo la bella moglie bionda e i tre ragazzini al seguito (tutte cose che spengono la libido all’istante). Ho individuato due categorie distinte – entrambe meritevoli di approfondimento, se così si può dire.
La prima è quella del bel frassinone sportivo, ben conservato, alto come piace a me. Tipicamente biondo, con il capello corto – l’Olandesone dello stereotipo. Appetitoso, ma un po’ monodimensionale. Probabilmente passa il pomeriggio della domenica giocando con i figli e guardando il pattinaggio in tv. Se ha pattinato pure lui, dovrebbe avere delle cosce sconcertanti (santo cielo, io vorrei vederli dal vivo ‘sti pattinatori: cosce come due autobotti, cantava Mina) e sicuramente porta i figli a scuola in bicicletta sotto la tormenta. Alle 17 in punto scatta dall’ufficio e alle 18 prepara la cena. Se può, lavora 4 giorni a settimana. Per il resto, interpreta il topos del marito e padre premuroso – tanto sa di certo che i figli non vedono l’ora di andarsene di casa (mica gli rimangono sul groppone fino ai trenta) e passeggia per Utrecht facendo shopping con la moglie di cui sopra. Ecco, da giovane Rutger Hauer poteva essere il perfetto rappresentante del frassinone olandese. Il replicante di Blade Runner, il cavaliere di Ladyhawke – eccolo lì. Occhio azzurro, opportunamente nordico, ma non privo di profondità…
La seconda categoria ha pregi più difficili da cogliere – si vede circolare per Utrecht all’epoca del Nederlands Film Festival (anche lui ha la tremenda moglie bionda al seguito, ma non i marmocchi) o magari in libreria: lo definirei l’intellettuale radical-chic (ma magari ha l’abbonamento in curva al Galgenwaard). Forse non così alto e muscoloso (forse c’è una mezza generazione di differenza, quando gli ormoni della crescita non filtravano dall’erba dei polder al latte della colazione?), porta gli occhiali, ha il capello un po’ più lungo ed ha un viso di solito più espressivo. Poffarbacco, questa tipologia promette molto di più dell’altra, quindi la trovo decisamente più intrigante. Talvolta lo vedi discutere con un amico seduto al caffè – sembra che abbia delle cose da dire, anche! Un bel senso dell’umorismo – di solito parecchio pungente: sono da maneggiare con cautela, ma si sa, più sono pericolosi (intellettualmente), più mi piacciono. Un altro parallelo con un attore? Jeroen Krabbè ora ha 65 anni (come Hauer), ha gigioneggiato parecchio in gioventù, ma ora ha proprio questo look, anche se un po’ ageè per essere potabile. In Italia è poco conosciuto, ma si è visto più volte (la prima e più clamorosa: interpretava Satana vestito Armani in un “Gesù” post-zeffirelliano che fece abbastanza scalpore. Poi è stato un Cattivo Bondiano – ecco, già si intravvede uno schema…).
Bah. Gli uomini olandesi. Rimarranno sicuramente un mistero, per me, come l’uso corretto della particella ER. Chissà, forse è meglio così!
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1 commento:
Jeroen Krabbè è stato anche il padre (ad un certo punto, il DEFUNTO padre) di Cenerentola in "Ever After": questo conferma o sconvolge lo schema?
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